La devastazione questa notte, dopo la drammatica alluvione del 3 maggio 2014 (con 3 morti), ha colpito nuovamente la città di Senigallia (finora 11 morti) e alcune frazioni del suo territorio. Il fiume della città, il Misa, è esondato dopo alcune ore di pioggia incessante che hanno insistito sul territorio.
Un territorio già ferito da decenni dall’intervento umano, che, grazie ad una classe politica poco avveduta, ha permesso una cementificazione ad ampio raggio, anche in zone considerate a rischio esondazione, con l’effetto di impedire ai terreni di raccogliere l’acqua. In questa porzione d’Italia è dal 1985 che si sta pensando a cosa fare per impedire o mitigare questi nefasti eventi. Quell’anno era stato fornito un progetto per la costruzione di vasche di esondazione a margine della stessa città di Senigallia, in modo da attutire l’impatto del fiume in piena nel centro cittadino.
In 37 anni però, nulla è stato fatto. Anzi, la cementificazione è continuata senza sosta e i fiumi della zona sono stati lasciati completamente all’abbandono, tanto che gli alvei spesso si sono riempiti di arbusti, e gli animali hanno scavato buche tali da creare smottamenti negli argini appena l’acqua diventa più veloce e imponente.
A Senigallia ancora una volta, dopo soli 8 anni, la pioggia (con il fondamentale aiuto dell’uomo) ha quindi fatto danni incalcolabili. Un giorno di pioggia, anche se intensissima e non preventivabile, ha messo in luce il grave dissesto idrogeologico del territorio. Si sta pagando un prezzo altissimo perché non si sta facendo nulla di serio e programmatico, nulla che favorisca la qualità e l’efficacia degli interventi di prevenzione (di cui mai si parla) e di mitigazione del rischio idrogeologico.
Ma quali sono le cause? Il territorio ha dovuto subire più volte, con sempre maggior frequenza, eventi legati a precipitazioni considerate anomale (che per effetti mediatici vengono definite “bombe d’acqua”), ma che di anomalo hanno solamente i tempi di ritorno molto più brevi rispetto al passato, e non certo la quantità di pioggia caduta, anche se consistente.
Il territorio marchigiano quindi, soprattutto della provincia di Ancona, è stato violentato da decenni di cementificazione selvaggia, urbanizzazione dissennata e speculazione edilizia a cui si sono aggiunte la carenza di interventi manutentori del territorio, l’inesistente pulizia ordinaria e straordinaria dei fiumi e dei fossi.
Attribuire la gravità degli eventi di Senigallia alla presunta eccezionalità delle piogge, invece che alla scriteriata opera dell’uomo, fornisce l’ennesima scusa per non prendere consapevolezza del fatto che il territorio del nostro Paese è stato reso un autentico colabrodo da chi ci ha speculato (e ci continua a speculare) sopra.
Il mondo geologico italiano denuncia da anni il forte degrado idrogeologico del nostro territorio, ma gli appelli finiscono sempre inascoltati e le precipitazioni definite “anomale” non possono dare l’alibi ad una inesistente pianificazione e programmazione territoriale, assenza di cui oggi si pagano i costi.
Questa condizione di degrado è presente in maniera sistematica a Senigallia, dovuta ad un processo di urbanizzazione (e di impermeabilizzazione del suolo) la cui intensità si è mantenuta costante dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni. Tutto ciò è anche indice della scarsa sensibilità ambientale dei governanti succedutisi alla guida della città.
Ricordiamo solo che in un’area come quella su indicata, già profondamente antropizzata, solo in questi ultimi anni abbiamo assistito all’accumulo di ulteriori milioni di metri cubi di cemento grazie alla realizzazione della terza corsia dell’Autostrada, del nuovo casello autostradale e della Complanare.
Per capire meglio quello che è successo dobbiamo far sapere che le zone a rischio fanno capo al Piano urgente di emergenza per la salvaguardia della incolumità della popolazione ricadente nelle aree a rischio idrogeologico molto elevato, redatto a cura del Comune nel 2004 (aggiornato nel 2007) su indicazioni di leggi nazionali e regionali e del PAI (Piano di assetto idrogeologico della Regione Marche).
Questo Piano urgente di emergenza prevede 7 aree a rischio di esondazione con una rigida perimetrazione che – ovviamente – male si concilia col comportamento fisico dell’acqua, né si cura dei dislivelli del terreno, tanto da non comprendere, ad esempio, il Piano Regolatore di Senigallia, storicamente interessato ad eventi alluvionali.
Quanto poi è successo è sotto gli occhi di tutti e per una parte di senigalliesi è stato devastante. Siamo convinti che in una certa misura i danni potevano essere contenuti grazie ad una condotta più puntuale e accorta.
Sicuramente una cosa è certa: c’è da rivedere la mappatura delle aree di rischio della città (strumento ormai obsoleto e che non tiene conto della rivoluzione cementificatoria che ha rivoluzionato il paesaggio urbano in questi anni) ed i sistemi di monitoraggio, di allarme e di comunicazione in situazioni analoghe.
Si apre adesso la fase della conta dei danni e degli indispensabili interventi pubblici a sostegno delle famiglie e delle imprese. Auspichiamo che le procedure del Governo e della Regione siano sollecite e che le risorse che verranno stanziate siano adeguate alle necessità e corrispondenti allo standard di un Paese civile.
Vorremmo anche che quelle stesse forze politiche che governano sia la città che il Paese e che fra 10 giorni prenderanno i voti di molti cittadini, ammettessero che il blocco della spesa pubblica e l’abbandono del territorio a se stesso hanno prodotto disastri come la mancata pulizia dei fossi, dell’alveo dei fiume e del porto canale, attività ordinarie che devono essere costantemente finanziata.
Ora la paura è che a Senigallia non si faccia nulla per i prossimi 8 anni (come per i 37 precedenti) per evitare o mitigare queste tragedie. Gli unici che lavoreranno in maniera indefessa, probabilmente, saranno gli avvocati dei responsabili coinvolti, che si daranno da fare per far prescrivere le colpe dei loro assistiti.
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