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Categories: Motori

5 auto di Formula 1 fra le più strane

Le monoposto di Formula 1 somigliano pochissimo alle automobili normali, per ragioni di funzionalità e di regolamenti. Lo scopo di una Formula 1 è raggiungere la massima velocità media possibile nel numero di giri stabilito per un gran premio, sul maggior numero possibile dei tracciati inclusi in una stagione del campionato. Fin dai primi anni ’30 le vetture da gran premio (non si chiamava ancora Formula 1) hanno cominciato ad assecondare le leggi dell’areodinamica, così i progettisti hanno spesso sperimentato soluzioni tecniche ardite. Alcune hanno funzionato benissimo, altre meno, altre ancora sono state subito vietate, prevalentemente per ragioni di sicurezza. Ma nel corso dei decenni le piste di tutto il mondo hanno visto sfilare alcune vetture decisamente inconsuete nell’aspetto, indipendentemente dai risultati che poi ottennero (o non raggiunsero). Abbiamo scelto in questa sede 5 fra le più strane auto di Formula 1. Ordine cronologico.

1954 – MERCEDES-BENZ W196 TIPO MONZA

Sembra una vettura di categoria sport, come quelle che in quegli anni partecipavano alla 24 ore di Le Mans o alla Mille Miglia. Invece era una Formula 1. I regolamenti all’epoca non vietavano ancora la copertura delle ruote, così la casa tedesca, al ritorno nei gran premi dopo l’epoca delle frecce d’argento negli anni ’30, decise di costruire una macchina totalmente carenata. Esordì nel 1954 sulla velocissima pista francese di Reims. Fu subito una doppietta, vinse Juan Manuel Fangio davanti a Karl Kling. Tuttavia gli enormi vantaggi aerodinamici sulle piste veloci venivano annullati da grandi problemi di maneggevolezza sui circuiti lenti. Dopo uno scarso risultato alla seconda gara, a Silverstone, la Mercedes portò in Germania al Nürburgring una versione della W196 con carrozzeria convenzionale a ruote scoperte. La versione carenata fu utilizzata solo in altre due occasioni, sempre a Monza (da qui il soprannome), vinte entrambe da Fangio.

1961 – FERRARI 156 F1

Quando si dice che l’abito non fa il monaco. Il frontale di questa vettura è molto curioso. Strettissimo, presenta due enormi prese d’aria che ricordano due narici. Eppure si trattò di una macchina vincente. Derivata dalla monoposto che l’anno prima corse in Formula 2, la 156 F1 si aggiudicò il titolo mondiale piloti e la coppa internazionale costruttori. Tra i piloti fu una lotta a due tra Phil Hill e Wolfgang von Trips, entrambi ferraristi. L’epilogo fu alla penultima gara, a Monza. Questa corsa fu funestata dall’incidente di von Trips, il quale dopo due giri perse il controllo alla Parabolica e la sua macchina volò nella tribuna. Morirono 15 spettatori e lo stesso von Trips. Hill si aggiudicò il mondiale per un punto.

1971 – MARCH 711

Basta guardarla davanti e si capisce perché la March 711 fu soprannominata “vassoio da tè“. Era un’appendice molto elevata e piatta. L’aerodinamica venne progettata da Frank Costin. In casa March soprannominarono l’auto “Spitfire” per una vaga rassomiglianza con l’omonimo aereo da combattimento britannico. Ma l’appellativo del vassoio fu certamente più azzeccato. La macchina non ottenne vittorie, però Ronnie Peterson la portò per quattro volte al secondo posto. Ma forse il pilota c’entrava parecchio.

1976 – TYRRELL P34

Qualsiasi vero appassionato di corse automobilistiche ha sentito parlare e visto in qualche immagine questa monoposto. E’ la famosa macchina a sei ruote. Fu disegnata da Derek Gardner. L’idea partiva da questo presupposto: è possibile ottenere la stessa aderenza di due ruote grandi usando quattro ruote più piccole, le quali però offrono una resistenza aerodinamica notevolmente inferiore. Inoltre aggiungeva il vantaggio di offrire una maggiore superficie frenante. La macchina venne presentata nel settembre 1974 ma entrò in gara solo nel 1976. Partecipò a 30 gran premi, conquistando una doppietta in Svezia nel 1976, quando Jody Scheckter vinse davanti a Patrick Depailler. Tuttavia la maggiore complessità costruttiva era un grosso svantaggio. Nel 1977 una riprogettazione annullò i vantaggi aerodinamici, inoltre il maggiore peso creava problemi in curva. Infine la Goodyear non era entusiasta di produrre pneumatici speciali per una sola scuderia. Alla fine del 1977 la rivoluzionaria P34 venne abbandonata. Tuttavia altre scuderie sperimentarono la soluzione a sei ruote, come Ferrari e Williams, senza però mai impiegarle in gara. Poi la FIA vietò espressamente di usare più di quattro ruote.

1979 – BRABHAM BT46

La famosa auto col ventilatore. La sua vita fu brevissima, durò un solo gran premio. Era la risposta di Gordon Murray alla Lotus 79 ad effetto suolo che l’anno prima dominò la stagione, regalando a Mario Andretti il titolo mondiale. Non era ancora molto chiara alla concorrenza l’origine di quella stupefacente macchina. Colin Chapman e il suo progettista Peter Wright alla Lotus intuirono che, disegnando in modo appropriato il fondo della vettura, si poteva accelerare il flusso d’aria passante sotto di essa in modo da creare una forte differenza di pressione che letteralmente schiacciava la macchina a terra all’aumentare della velocità. E’ l’effetto Venturi. In questo modo le nere Lotus potevano percorrere le curve a velocità impensabili per le altre.
Murray intuì presto il segreto della Lotus ma il motore Alfa Romeo Boxer era troppo largo, quindi non si potevano usare le minigonne. Allora creò un effetto Venturi sulla Brabham BT46 montando dietro al motore una ventola enorme che faceva da estrattore. Infatti le pale del ventilatore risucchiavano l’aria in uscita dal fondo, ottenendo lo stesso risultato delle minigonne della Lotus. Non era un’invenzione originale. Nel 1970 un sistema simile fu usato dalla Chaparral nella categoria americana Can-Am.
La ventola della Brabham era azionata dal motore, tramite un complesso sistema meccanico. Quindi, maggiori erano i giri del motore, più forte girava la ventola, più aria aspirava. Il sistema si mostrò efficace perché nella gara di esordio, in Svezia, Niki Lauda vinse. Tuttavia la ventola era molto al limite del regolamento (erano vietate le appendici aerodinamiche mobili), tanto che la squadra la spacciava come sistema di raffreddamento del motore, e la teneva coperta quando la macchina era al box. Ma si capì subito quale fosse la sua reale funzione. Gli altri team, minacciati da una soluzione così ardita, protestarono violentemente contro Bernie Ecclestone, allora proprietario del team e da poco eletto al vertice della federazione dei costruttori. Prima che lo scontro arrivasse alle conseguenze estreme, la commissione sportiva vietò l’uso di ventole. La BT46 col ventilatore non corse mai più.

Roberto Speranza

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