9 luglio 2006, una data che rimane impressa nella mente di tutti gli italiani. Proprio 14 anni fa, infatti, l’Italia diventava campione del mondo per la quarta volta nella sua storia battendo la Francia nella finale di Berlino. Un’emozione difficile da spiegare a parole, momenti che rimangono scolpiti nella memoria tanto che, anche a distanza di 14 anni, viene quasi automatico ricordare, con precisione quasi chirurgica, in quale luogo ci si trovava, la prima persona abbracciata o la prima telefonata fatta per gioire insieme di un successo atteso fin troppo tempo.
Eppure le aspettative non erano certo rosee: il calcio italiano sconvolto dal calcioscommesse, le polemiche e i più scettici che chiedevano addirittura di non partecipare al mondiale per evitare la figuraccia in mondo visione. Attriti esterni che non hanno fatto altro che cementare il gruppo, partito per la Germania con le stesse problematiche che aveva affrontato un’altra Nazionale vincente, quella di Spagna ’82. Similitudini che, a posteriori, fanno pensare a un lieto fine annunciato. E anche il cammino dell’Italia fa supporre un mondiale da comparsa: la prima vittoria sul Ghana, poi subito l’inciampo con gli Stati Uniti, non certo una superpotenza del calcio mondiale e l’obbligo di vincere con la Repubblica Ceca. Dopo quell’ostacolo, però, la cavalcata prende corpo con l’Australia battuta grazie a un rigore all’ultimo, l’Ucraina spazzata via e poi la Germania.
Quella contro i tedeschi è forse la vittoria più importante, in uno stadio che già pregusta il trionfo, vengono alla mente le immagini della “partita del secolo”, quel 4-3 che ancora oggi viene ricordato da tutti, appassionati di calcio e non. A risolverla è Fabio Grosso, un nome sconosciuto a molti prima del mondiale e oggi divenuto icona di quel successo. La sua corsa a braccia aperte, così simili a quella di Tardelli, è quella di tutti gli italiani, un popolo che riesce a rialzarsi dopo un fallimento dimostrando che c’è ancora speranza, che tutto si può fare. L’ultimo scoglio è la Francia: le reti di Zidane e Materazzi si annullano a vincenda, il pareggio resiste fino alla fine e sono necessari i rigori, proprio quelli che in molte occasioni hanno tradito l’Italia.
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Quello decisivo è ancora nei piedi di Fabio Grosso, sempre lui, e nella sua rincorsa c’è tutto: la delusione di Italia ’90, l’errore di Baggio a Pasadena, la traversa colpita da Di Biagio in Francia, l’Europeo svanito sempre contro i transalpini per un golden gol maledetto e l’ingiustizia firmata Byron Moreno. In quella rincorsa c’è speranza e paura, il timore di non farcela e la voglia di scoprire cosa c’è dall’altra parte, quella che fa intravedere una strada lastricata d’oro che conduce dritti al Paradiso. Ci sono i sogni di un popolo intero, pronto a riversarsi in strada per festeggiare. Ci sono le speranze di un bambino, ancora troppo piccolo per capire cosa sta succedendo e felice di vedere tutti quei grandi insieme, c’è quella di un adolescente che spera di abbracciare la più bella della scuola, venuta a vedere la finale senza neanche sapere chi fossero quegli undici in pantaloncini che hanno corso per il campo tutta la sera, c’è quella di un padre che aspetta la palla gonfiare la rete per mettere finalmente da parte le delusioni passate. E quella palla effettivamente entra, spiazzando il portiere e facendo esplodere la felicità. Sipario. Sono passati 14 anni, ma sembra ieri.
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