Il triste volto della guerra si sta manifestando in un autunno, che poi è un inverno, drammatico per Kiev e per l’Ucraina. Le ripercussioni stanno ricadendo tutte addosso ai cittadini, obbligati a una parvenza di normalità che è sempre più complicata da gestire e contrastare. Chiamarla quotidianità è forse un crimine all’umanità: è il frutto della strategia dei russi che sta mirando a rendere durissima la vita di tantissimi cittadini di Zelensky. Persone che hanno famiglia, lavoro, una vita resa impossibile dalla guerra. Ma non bastano ad accelerare la fine di un conflitto sempre più scellerato. Ecco come stanno vivendo i cittadini di Kiev, dagli allarmi aereo sempre più frequenti all’assenza di luce e acqua.
L’umanità calpestata e in secondo piano della guerra in Ucraina è il volto di un intero popolo messo nell’angolo. Un popolo messo a dura prova dalla mancanza di luce e acqua, dalle condizioni durissime causate dai bombardamenti e dalla strategia russa. Dalla crudeltà che dal campo militare del conflitto si trasferisce direttamente nella quotidianità degli esseri umani, costretti a fronteggiare condizioni ostiche, a raccattare acqua come si può e arrangiarsi nei pochi bar aperti per trovare calore, sperando che passi presto e vinca la ragione. Ma di avvisaglie che lascino presagirlo non ce ne sono e il quadro complessivo è ancora quello di una resistenza che prima era delle truppe, ora è dei cittadini. Il duro inverno ucraino, però, è già iniziato e sottovalutarlo è grave per chi mette i diritti umani al primo posto.
No, non può essere normale e non può essere vita. In Ucraina si sta consumando la guerra, quella che i nonni ci raccontavano davanti al fuoco per i conflitti mondiali magari. L’incubo del freddo, dei rifugi, del dov’è l’acqua e dei riscaldamenti che non ci sono. Del gelo, essenzialmente. Lo sapevano tutti, in Russia e nel mondo e ora Vladimir Putin sta cercando di sfruttarlo a suo favore, di attuare una strategia del terrore che dalle parole e passata ai fatti e a cui si sta aggrappando con tutto il suo cinismo per ribaltare una guerra in cui i favori del pronostico non prendono più dalla sua parte.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo a settembre, quando ancora molti di noi cercavano di lenire i sudori del caldo estivo con pantaloncini corti, qualche drink, ombrelloni e un tuffo in mare, tra un turno e l’altro di lavoro. È paradossale che così vicino, ai confini di un’Europa sempre più stravolta dal conflitto e dagli orrori della guerra, si stesse consumando, invece, la semina del peggio. Non perché l’Ucraina non dovesse contrattaccare, tentare di recuperare i territori che gli erano stati sottratti da fine febbraio in poi con la prepotenza e riuscirci pure. Ma semplicemente perché la risposta della Russia ha mostrato, per l’ennesima volta, come la crudeltà e il terrore siano armi che Putin tiene ben care nel suo vaso di Pandora e dalle sale regali e piene di crepe del Cremlino apre a tradimento per distruggere, con tutto l’odio che un uomo può.
Insomma, la controffensiva di Zelensky, armata dagli aiuti europei e soprattutto statunitensi è andato a buon fine in molti territori e messo a nudo diverse certezze. La prima è che la guerra aveva assunto un’altra forma e nuovi obiettivi. L’esercito russo non è così inossidabile come si pensava e soprattutto neppure così coeso, visti i tanti spifferi arrivati dall’interno che hanno disegnato un quadro ben diverso rispetto a quel patriottismo sano, la madre patria Russia, tante volte sbandierata da Putin e collaboratori stretti. Poi c’è un discorso diverso, conseguenze che si ripercuotono direttamente sulla strategia militare.
L’Ucraina ha iniziato ad avanzare lentamente, ma inesorabilmente e riconquistando territori che prima sembravano semplicemente miraggi di un tempo già lontano, anche se erano passati solo pochi mesi. Un uno a uno e palla al centro in piena regola che ha smascherato tutte le fragilità di una super potenza tracotante che ha dovuto fare i conti con un’insufficienza inattesa dal punto di vista militare. La reazione è stata la peggiore possibile. Anziché sedersi a un tavolo e trattare condizioni ragionevoli per concludere una pagina drammatica di storia, Putin ha deciso di usare il pugno duro nei confronti di chi nelle guerre è sempre la parte più lesa: i civili.
Dagli arbori dell’autunno, si sono moltiplicati i bombardamenti sparsi su tutta l’Ucraina, tramite missili e droni kamikaze, con gentile concessione dell’Iran. A essere presa di mira è stato il cuore dell’Ucraina, una Kiev che è la loro Roma ed è serbatoio di storia, diplomazia, cultura, arte e bellezze. Soprattutto lavoro e persone, vita vera. Le persone si sono rifugiate nelle metropolitane e nei bar: resistono come possono. Si fanno andare bene, non avendo alternative, gli allarmi aereo e le fughe nei posti sicuri, le voragini per strada e la distruzione attorno, con promesse di ricostruzione che non bastano a lenire i dolori di chi viene privato della propria identità. E per giunta dalla sera alla mattina.
Nella massima sintesi, la strategia di Putin è stata colpire inesorabilmente i civili e le infrastrutture civili, senza nessuna eccezione. Attacchi durissimi, con artiglieria pesante e soprattutto sparsi per sfruttare la vastità di un’Ucraina che è attaccabile su troppi fronti per coprirli tutti. Zelensky si è affrettato a chiedere aiuto, soprattutto una difesa aerea sempre più solida, moderna ed efficiente. Gli aiuti sono arrivati, ma il prezzo pagato dalle persone comuni è sempre più alto.
Più passano i giorni, infatti, più i cittadini sono consegnati a una realtà invivibile. Con l’arrivo della stagione più fredda, il mirino di Putin si è concentrato inesorabilmente sulle infrastrutture energetiche. La centrale di Zaporizhzhia, per esempio. Il risultato è una nazione che in larghissima parte è privata di luce e troppo spesso di acqua. Ciò non vuol dire cene a lume di candela, ma l‘impossibilità di riscaldarsi, di un bagno caldo, di vivere come se nulla fosse. E da Est arrivano sempre più notizie di una realtà invivibile per milioni di persone: il volto più crudo di una guerra insopportabile per noi, sotto il profilo politico ed economico, e soprattutto per loro. Per chi deve combattere con le unghie per una parvenza di normalità di cui ormai bisogna parlare al passato. Perché ora c’è solo la sopravvivenza.
È inutile addolcire la pillola: delle condizioni così gravi una città come Kiev non le aveva mai vissute. Le difficoltà quotidiane sono, settimana dopo settimana, sempre di più e più complicate. Non è solo un grido d’allarme, ma anche numeri chiarissimi: il sindaco della capitale, Vitali Klitschko ha dichiarato che circa il 60% della città è ancora senza risorse energetiche. Un quadro aggravato dalla mancanza d’acqua che è triste realtà per tantissime, troppe case, ma anche luoghi pubblici e di lavoro.
La vendetta russa sta funzionando, ma senza lenire la volontà di Zelensky di arrivare a riconquistare anche la Crimea persa con uno schiocco di dita nel 2014 e messa al primo posto anche nei primi spifferi di progetti di pace. Da Putin arriva un no totale che traduce in attacchi sempre più violenti e pericolosi che colpiscono prima di tutto infrastrutture energetiche che garantiscono elettricità, riscaldamento, acqua e telecomunicazioni. Una crisi energetica in piena regola che si interseca con il rischio nucleare, quel mostro sotto il letto che da mesi allarma la comunità internazionale, ma che non sembra un limite per le forze sul campo e gli invasori.
Ad aiutare il leader del Cremlino stanno arrivando condizioni climatiche proibitive. Mentre stiamo scrivendo quest’articolo a Kiev c’è solo un grado e potete immaginare di notte quanto sia proibitivo vivere senza luce e riscaldamenti. Le temperature, negli ultimi giorni, sono calate sempre di più e sempre più cittadini sono stati costretti a sopravvivere, più che a vivere. Però, il loro atteggiamento non è cambiato tanto rispetto a quello tenuto in tutta la guerra: molti stanno continuando ad andare a lavoro, altri cercano di avere una parvenza di vita sociale, di arrangiarsi come possono. Il duro lunedì di Kiev, quello di massicci bombardamenti fin dal mattino, si è concluso con le persone che sono passate rapidamente dai canti patriottici in metropolitana ai tavolini dei bar. Non per questo ciò che sta succedendo va sottovalutato.
E nelle ultime ore, Zelensky ha scaricato le colpe sulle misure adottate dal sindaco Klitschko: “Sfortunatamente le autorità locali non si sono comportate bene in tutte le città. In particolare, ci sono molte lamentele a Kiev. È necessario più lavoro per 20 o anche 30 ore. È necessario più sostegno e lavoro di qualità all’ufficio del sindaco”, ha detto nel suo video discorso notturno.
Russia a parte, cosa stia andando storto non ci interessa del tutto, ma le condizioni umane sì. La mancanza d’acqua a questo punto è talmente grave che molti stanno cercando di recuperarla dai tubi di scarico dell’acqua piovana. Molti giornalisti sul posto, invece, hanno riferito che si stanno creando file gigantesche nei punti adibiti alla distribuzione dell’acqua. Roba che, anche dopo ore fermi lì, tornano con al massimo qualche bottiglietta piena e niente di più. Le piogge che stanno cadendo hanno aiutato un po’, ma prima aveva solo nevicato, complicando ulteriormente le cose.
Altri giornalisti, invece, si sono concentrati sulla caccia ai riscaldamenti. I racconti pubblicati evidenziano numeri sempre più alti di persone che si recano nei pochi bar aperti per tentare di riscaldarsi. C’è chi cerca di aiutarsi un po’ come può e fare fronte comune. Si contatta quel parente o gli amici per sapere se nelle loro abitazioni c’è ancora acqua o elettricità e nel caso ci si riunisce per fare delle scorte o trovare un po’ di ristoro. Le storie di drammatica anormalità si moltiplicano: ci sono giovani donne che raccontano di fare la doccia con due bicchieri d’acqua e di tenere i capelli raccolti, perché è impossibile lavarli. Gesti quotidiani che diventano inaccessibili: la crudeltà insensata della guerra. Molto più grave del rincaro in bolletta.
E gli altri ranghi della politica ucraina che fanno? Hanno sguinzagliato ingegneri e operai per riparare i guasti e ripristinare le infrastrutture più importanti. Peccato che gli attacchi russi non lascino respiro e non si può trattare dell’unica soluzione, sicuramente non un’alternativa a quella diplomatica. E pensate che in altre città la situazione è anche peggiore. Kherson, riconquistata negli ultimi giorni, ha visto restare senza acqua ed elettricità addirittura il principale ospedale cittadino. E non si tratta di centri meno importanti o con pochi abitanti.
La situazione non è, dunque, in via di miglioramento, anzi. Infatti, più ci si avvia verso il cuore del rigido inverno ucraino, più le cose potrebbero ulteriormente complicarsi. L’obiettivo è aprire diversi centri di rifugio in cui garantire condizioni di ristoro minime, come pasti caldi, riscaldamenti e una connessione internet stabile. Il nome assegnato è un ulteriore simbolo di resistenza: “Punti di invincibilità”.
A risolvere parzialmente il problema potrebbe essere ancora una volta l’Europa. La presidente della commissione, Ursula von der Leyen, ha annunciato che l’Ue invierà aiuti consistenti all’Ucraina. Donazioni che serviranno a sostenere i punti di invincibilità e far arrivare sul posto centinaia di trasformatori elettrici e due autotrasformatori, ma anche generatori di corrente destinati agli ospedali.
Il punto però è anche un altro: i bombardamenti mirati e crudeli della Russia ledono i diritti umani. Le associazioni internazionali si sono adoperati a condannarli come tali e si esposto anche il presidente francese Emmanuel Macron in tal senso. Quest’ultimo ha parlato addirittura di crimini di guerra, l’ennesimo tra deportazioni, fosse comuni, torture e storture di ogni tipo. E la risposta russa? Dmitri Peskov ha candidamente detto che l’unico modo per bloccare tutto è la resa dell’Ucraina o la soddisfazione delle richieste del Cremlino. Un aut aut del tipo “o vi arrendete, o la popolazione continuerà a soffrire”. E non è accettabile, come non sarà mai accettabile in un mondo civile la guerra, in tutte le sue forme.
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