A Sebastopoli è scoppiato un incendio durante la notte: le fiamme hanno raggiunto una vastissima area, di circa 200 metri quadrati, che comprende un edificio in cui vivono gli operai che stanno lavorando all’autostrada federale “Tavrida”. Per adesso, stando a un primo bilancio, pare che i morti siano sette, a cui si devono aggiungere almeno un paio di feriti, arrivati in ospedali con delle ustioni.
Erano le 2:19 quando nei pressi di Sebastopoli è arrivata una segnalazione: delle fiamme stavano divampando e un edificio aveva ormai preso fuoco. Sul posto sono tempestivamente arrivati i soccorsi, che però sono riusciti a spegnere l’incendio solo intorno alle 7:47 del mattino. Del resto, l’area invasa dal rogo era davvero vastissima: comprendeva un territorio di circa 200 chilometri.
Un incendio è scoppiato a Sebastopoli
A Sebastopoli è scoppiato un incendio, precisamente le fiamme hanno colpito le capanne degli operai che stanno costruendo l’autostrada Tavrida, un tratto strategico, che conduce fino al ponte di Crimea, che collega la penisola al Kuban (Russia). A riportarlo sono stati sia i media russi – nello specifico TASS, RIA Novosti e Interfax – che quelli ucraini. Ed è interessante a questo proposito fare un passo indietro, perché di fatto Sebastopoli, anzi tutta la Crimea, è stata uno dei primi oggetti del contendere tra il Paese guidato da Putin e quello guidato da Zelensky (anche se loro due nello specifico non hanno alcun nesso con i fatti in questione).
Tutto partì difatti nel ’90: dopo la dissoluzione dell’URSS, un trattato bilaterale sancì l’intangibilità delle frontiere dei due paesi. Parentesi: la Crimea fino a quel momento era stata un territorio ucraino, nel senso che era stata ceduta dalla Russia al Paese nel ’54, sebbene un censimento risalente al ’59 (quindi soli cinque anni dopo) avesse mostrato che all’epoca il 71,4% della popolazione era russa e solo il 22,3% ucraina (anche grazie alla deportazione dei Tatari di Crimea nel ’44, a opera di Stalin, che aveva reso loro la fetta di popolazione più consistente), ma l’operazione fu comunque possibile perché la penisola era dipendente – sia economicamente che da un punto di vita infrastrutturale – dall’Ucraina.
Nel ’91 – il 1 dicembre esattamente – tutto cambiò: un referendum rese l’Ucraina indipendente (l’unica domanda scritta sulle schede era: “Approvi l’Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina?”) e da allora iniziò il caos. La Russia iniziò a rivendicare la Crimea, anche per via della presenza della sua flotta nel Mar Nero e addirittura nel gennaio del ’92 il parlamento riaprì il dossier Crimea e chiese al governo di indagare sulla costituzionalità della cessione. Il parlamento accettò – con 166 voti favorevoli e solo 13 contrari più gli 8 astenuti – e così il 21 maggio 1992, il Soviet supremo della Russia annullò l’atto del ’54 e chiese all’Ucraina di far partire nuovi negoziati per stabilire il possesso della Crimea.
Anche i cittadini della penisola furono chiamati a votare durante le elezioni ucraine del ’94, ma il 65,7% votò per il partito Russia e questo indusse il Parlamento della Crimea, solo pochi giorni dopo, ad approvare una Costituzione che di fatto istituiva una Repubblica indipendente, i cui abitanti potevano avere doppia cittadinanza russa e ucraina. Da quel momento, però, la tensione crebbe a dismisura, fino al 2014, quando ebbe iniziò la cosiddetta Crisi della Crimea del 2014, che portò all’occupazione delle truppe russe e all’annessione della penisola al Paese guidato da Putin, a seguito di un referendum popolare.
C’è da dire che, però, l’UE – insieme a molti stati membri delle Nazioni Unite – non ha mai riconosciuto l’annessione della penisola alla Russia, tanto da arrivare ad adottare delle sanzioni politiche ed economiche nei confronti della Federazione Russa.
Arriviamo al 2 febbraio del 2023. A Sebastopoli scoppia un incendio e a riportarlo sono stati, come abbiamo anticipato, sia media russi che ucraini lo hanno riportato, anche perché, per essere precisi, de iure (cioè per legge) la Crimea appartiene ancora al Paese guidato da Zelensky.
Il bilancio delle vittime e dei feriti
Durante la notte a Sebastopoli è scoppiato un incendio vastissimo, che prende un’area di 200 metri quadri di superficie, come ha dichiarato il Ministero delle situazioni di emergenza della Russia. Come abbiamo anticipato, il rogo ha letteralmente invaso un edificio residenziale a due piani, situato in via Neftyanaya per essere precisi, in cui vivono gli operai che stanno lavorando all’autostrada Tavrida.
Stando a quanto trapelato dai media locali, almeno sette persone sarebbero morte e, come riporta Interfax – e ha confermato il servizio di ambulanza – almeno un paio sarebbero state portate in ospedale con ustioni, ma considerando che in tutto la palazzina è abitata da un centinaio di persone circa, non possiamo escludere che possano essercene altri. In ogni caso, il governatore di Sebastopoli, Mikhail Razvozhaev, ha specificato che i lavoratori morti provengono da diverse regioni del Paese.
Attualmente i soccorritori sono impegnati a rimuovere le macerie dal posto, ma quello che è emerso è che il comitato investigativo ha aperto un procedimento penale per negligenza essendo morte diverse persone (stando alla parte 3 dell’articolo 109 del codice penale della Federazione Russa).