A Torino un ragazzino di soli undici anni è stato aggredito verbalmente dai suoi amici durante una festa di compleanno. Il motivo? Era ebro. Vi sembra assurdo nel 2023? Lo è, eppure è accaduto davvero.
Ha undici anni, frequenta la scuola ebraica di Torino, è solito portare la kippah e si è sentito dire dai suoi “amici” che in altri tempi lo avrebbero potuto bruciare. Sembra un film, uno di quelli che inizia con dei ragazzini che fanno i bulli senza sapere ancora nulla della vita, eppure è accaduto davvero.
Insulti antisemiti ai danni di un bambino di undici anni a Torino
Esiste da tempo l’Osservatorio Antisemitismo, che ha l’arduo (e triste) compito di selezionare e sviscerare tutti gli episodi di antisemitismo in Italia. Esiste anche un omonimo sito dedicato che, per chi non lo sapesse, ha una sezione chiamata “Episodi in Italia”. “Saranno pochissimi ormai”, penserete. E invece no, magari fosse davvero così.
Scorrendo potrete comprendere, per vostro sommo stupore immaginiamo, che gli episodi nel Belpaese (che in questo caso di bello ha ben poco) sono stati negli ultimi undici anni un numero crescente. Sì, perché nel 2012 se ne erano verificati “solo” 16 mentre, negli anni successivi, sono state rispettivamente 48, 85, 64 (il 2015 è stato uno dei pochissimi anni in cui c’è stato un calo), 130, 129, 181, 251, 230 (considerate che questo era l’anno della pandemia, quindi per circa tre mesi nessuno è uscito di casa e per i restanti nove tra restrizioni e divieti il tempo per girare liberamente è stato davvero pochissimo, per cui questa diminuzione non andrebbe proprio considerata), 226, 241, 30. Su quest’ultimo numero ci dovremmo soffermare: ci sono stati 30 casi in poco più di 50 giorni (dal 1 gennaio a oggi). Significa che c’è stato più di un caso ogni due giorni. Eppure siamo nel 2023, l’epoca in cui si ipotizza finalmente un viaggio verso Marte, in cui le auto si guidano praticamente da sole e, soprattutto, si parla sempre di più di inclusione. Ma siamo sicuri che alla teoria poi corrisponda anche la pratica?
Visitando sempre il succitato sito, scorrendo, possiamo trovare titoli come “Sesto San Giovanni, una svastica al Parco Nord”, “Scritte antisemite e neonaziste a Reggio Emilia”, “Insulti antisemiti contro Elly Schlein” e potremmo continuare all’infinito (abbiamo citato solo gli ultimi in ordine cronologico, sappiate che queste cose sono accadute solo dall’inizio di febbraio).
Arriviamo a oggi, 22 febbraio. Su tutti i giornali e i siti web sta iniziando a circolare (purtroppo) un’altra notizia, nuovissima, fresca: un bambino di soli undici anni, mentre stava a una festa di compleanno, si è sentito offendere per via della sua religione.
Ecco cos’è accaduto
Un bambino di soli undici anni stava partecipando a una festa a Torino. Tutto andava come doveva andare, si stava divertendo insieme ai suoi “amici” (le virgolette sono doverose, a breve capirete perché). Ah, abbiamo dimenticato un particolare: il bambino frequentava la scuola ebraica del capoluogo piemontese ed era solito indossare la kippah che, per chi non lo sapesse, è il tipico copricapo circolare usato dagli ebrei uomini obbligatoriamente nei luoghi di culto e liberamente anche nella vita quotidiana. Sì, il ragazzino era ebreo, ma ormai nel 2023 nessuno dovrebbe neanche più notarlo. La differenza tra loro e il resto della popolazione è – anzi, dovrebbe essere – esattamente uguale a quella che c’è tra una persona con i capelli biondi e una con quelli castani: irrilevante.
Eppure alcuni suoi amici – suoi coetanei, precisiamo – hanno pensato bene di dirgli esplicitamente: “Peccato che non siamo in anni precedenti o ti avremmo potuto bruciare”. Il tutto scatenando anche l’ilarità dei presenti, che anziché dissociarsi hanno iniziato a sghignazzare, come se fosse stato divertente. C’è davvero qualcosa da ridere? Assolutamente no. Hanno solo undici anni, è vero, non sono neanche adolescenti, possono a stento essere considerati ragazzini, perché di fatto sono bambini, ma allora la colpa va ricercata nelle famiglie.
C’è un detto che dice: “il pesce puzza dalla testa”. E infatti è così: spesso crescere in famiglie razziste, apprendere termini in casa, essere abituati ad ascoltare frasi non inclusive, incide sicuramente. Non vogliamo credere che dei bambini così piccoli si siano presi la briga di formulare un loro giudizio personale sull’Olocausto, ammesso che sappiano davvero cosa sia.
Sì, perché molto probabilmente questi bambini non conoscono neanche la parola Shoa. Non conoscono la deportazione, lo sterminio, le fughe degli ebrei terminate troppo spesso con la loro morte. Non sanno cosa sono le “marce della morte”, ma neanche le camere a gas e i forni che tanto si sono divertiti a citare (anche se forse inconsapevolmente). Probabilmente non hanno mai neanche sentito parlare Liliana Segre, non hanno mai potuto osservare la commozione di Sami Modiano mentre parla di quanto essere l’unico sopravvissuto significhi portare per tutta la vita sulle spalle il peso delle domande, della responsabilità, del senso di colpa. No, se avessero visto i suoi occhi e avessero sentito la sua voce rotta dal pianto non avrebbero mai parlato così.
Nel frattempo il presidente della comunità ebraica torinese, Dario Disegni, durante un’audizione alla commissione Segre del Comune, ha affermato: “Mi chiedo dove sentano certe cose e il ruolo delle famiglie”. E ha poi aggiunto: “Le due armi fondamentali per vincere l’antisemitismo e l’odio sono educazione e cultura. (…) “Purtroppo l’antisemitismo è un fenomeno in aumento a livello internazionale e la percezione degli ebrei in Europa è di crescente insicurezza. La preoccupazione per il fenomeno dell’odio social. Circa il 10% degli italiani è censito come antisemita, ma c’è un antisemitismo serpeggiante molto superiore”.
Disegni ha poi fatto luce su un altro tema: quello di Israele, visto come un Paese razzista dai più. Secondo il presidente insomma: “Se si fanno eventi in cui si accusa Israele di essere uno Stato razzista e che pratica l’apartheid, si fanno accuse infamanti, storicamente false e che finiscono per spostare l’odio verso Israele nei confronti delle comunità ebraiche. Sono atteggiamenti che ci preoccupano”. Verosimilmente non è questo il caso dei ragazzini, che non conosceranno neanche la storia del Paese, il regime di apartheid imposto ai palestinesi, le lotte di Amnesty International.
Promemoria per il governo: ricorda che i ragazzini devono sapere, conoscere, imparare. Solo così potranno diventare adulti migliori, più forti, coscienti, sensibili. L’ignoranza è ciò che di più spaventoso esista al mondo: non esistono armi per combatterla. Anzi, sì, un’arma esiste ed è quella della conoscenza. Perché nessuno ha insegnato a questi ragazzi che