«Siamo convinti che, realizzando delle case che rispondono alle esigenze della collettività, la situazione cambierà moltissimo», ha spiegato in un’intervista a Nanopress.it l’Architetto Carmine Piscopo, Assessore all’Urbanistica del Comune di Napoli, circa la decisione di abbattere le Vele di Scampia. Di tutt’altro avviso è Don Aniello Manganiello, uno degli uomini che meglio di tutti conosce Scampia e le sue difficoltà, perché ne è stato il Parroco per tanti anni e perché continua a lavorarci tutti i giorni tramite l’associazione Ultimi.
«Sono molto perplesso riguardo questa decisione e riguardo la convinzione che la riqualificazione di Scampia possa dipendere dall’abbattimento di parte delle Vele. Ci sarebbe, infatti, bisogno prima di tutto di un cambiamento di mentalità nella gente, nell’attenzione e nella cura del territorio.
A Scampia, ovunque ti giri trovi cumuli di spazzatura e degrado e anche le cosiddette Torri, come chiamano qui a Scampia i palazzi popolari, pur non essendo nelle condizioni delle Vele non sono certo tenuti bene.
Il miglioramento di quel quartiere va, quindi, guardato su larga scala: le stesse Vele erano state costruite non solo per dare una casa ai napoletani che vivevano nei “vasci” di Napoli (i bassi sono le antiche case napoletane a una-due stanze a pianterreno affacciati sui vicoli, ndr), ma anche per dare un segno di originalità e di edilizia ardita, una sorta di lustro, di bellezza, un tocco di originalità al quartiere. Abbatterle non è sufficiente.
Mi auguro che, almeno, facciano una bonifica prima di abbatterle, visto che le Vele sono piene di amianto.
Il problema non è, quindi, tanto abbatterle, ma aiutare la gente a cambiare il modo di considerare le cose di tutti, le aiuole, le strade, gli spazi comuni».
Le persone verranno trasferite in case popolari, sempre a Scampia. Non crede che il rischio di spostare il degrado da una parte all’altra sia altissimo?
«Sono già state realizzati degli edifici, di 4 piani, pensati per favorire l’incontro e l’abitabilità e il rispetto della dignità umana. Alcuni sono già abitati da anni e ci vedo già l’incuria da parte i chi li abita.
C’è bisogno di una rigenerazione a livello umano che è un lavoro più grande. Abbattere una Vela è facile, abbattere certi atteggiamenti dei cittadini non solo di Scampia ma di altre periferie di Napoli, che sono sconcertanti e che non rispettano l’ambiente, è molto più difficile ma è la strategia da seguire. La sciatteria è generale e prima bisognerebbe cambiare le teste».
Cosa bisognerebbe fare prima di abbattere le Vele?
«Le due cose si potrebbero fare in contemporanea. Abbattiamole, ma c’è da scegliere una strategia educativa da condividere con le scuole, le parrocchie e le famiglie per iniziare un lavoro che richiede anni. La raccolta differenziata non è mai partita e non solo a Scampia.
Bisogna educare la gente a innamorarsi del bello, dell’ambiente, ad avere cura del verde, delle strutture. Non oggi ma nel futuro si può iniziare a ottenere qualcosa con il senso civico, l’amore per il proprio territorio.
Va fatto, altrimenti abbattere le Vele non serve a nulla. Le Vele sono conciate malissimo ma se ti sposti senza cambiare, cambia solo la forma degli edifici. Sono i cittadini che devono cambiare, quella parte consistente che non ha ancora imparato ad amare il territorio».
Il piano del comune con nuovi edifici più bassi, nuove costruzioni e inserimento di edifici pubblici, può aiutare le forze dell’ordine nel controllo del territorio?
«Questo sì. Edifici più bassi, con un ingresso unico che porta ai vari appartamenti, per l’ordine pubblico sono più funzionale e rendono i controlli più facili».
Le Vele sono il simbolo della Gomorra in terra: il loro abbattimento può avere un effetto mediatico?
«Sì, può averlo in senso positivo. Le Vele sono diventate il simbolo della camorra, della criminalità, delle scelte peggiori che un uomo più fare. Scampia sembra che sia solo le Vele e non altro.
Sono diventate anche il simbolo dell’irrecuperabilità di un territorio. Già Roberto Saviano, scegliendo il nome di una città biblica che viene distrutta perché non ci sono nemmeno 10 giusti, ha segnato il non recupero di Scampia. L’operazione mediatica è stata devastante perché ha messo sotto i riflettori il territorio solo dal lato dell’illegalità e della criminalità organizzata che si è insediata qui perché, fin dai primi passi, non c’è stata cura e l’aiuto dello Stato e delle istituzioni.
In un contesto senza legge, senza un progetto a largo raggio tra lavoro e ed educazione per le famiglie accatastate nelle Vele e nelle Torri, si è naturalmente favorita la criminalità organizzata.
Sono il simbolo perché i media, quando vogliono far vedere Scampia, inquadrano le Vele e questo è fuorviante e dà un’immagine diseducativa, come la serie di Sky.
In questo senso, le abbattiamo e iniziamo a eliminare qualcosa, ma sono molto scettico. Ci vuole molto altro per dare l’opportunità alle famiglie buone, che sono tante e tante, di alzare la testa e di poter essere protagoniste in quel territorio».
Articolo realizzato in collaborazione con Lorena Cacace