Lo Stato dell’Indiana ha raggiunto un primato: una donna della cattolicissima città di South Bend è stata condannata a venti anni di reclusione con l’accusa di feticidio in seguito a un aborto. Non era mai successo prima. L’accusa ha sostenuto che la 33enne Purvi Patel ha agevolato l’aborto della sua creatura alla 25esima settimana di gravidanza, ingerendo farmaci abortivi ordinati online su internet. Lei ha semrpe negato e c’è da dire inoltre che nessuno dei test farmacologici effettuati sulla donna ha confermato la tesi dell’accusa, che è quindi stata condannata per negligenza.
Per la prima volta negli Usa una donna è stata condannata a 20 anni di reclusione per feticidio, applicando una norma mai usata in precedenza, nonostante sia stato appurato che Purvi Patel non abbia ingerito farmaci abortivi per interrompere la gravidanza indesiderata nel 2013. Nessun test farmacologico sulla donna ha confermato questa tesi dell’accusa.
C’è anche da dire che la difesa della donna ha sostenuto l’innocenza della signora, che sarebbe andata letteralmente in panico quando si è accorta di essere in travaglio. La donna, di origine indiana, era stata ricoverata dopo una emorragia uterina, e ai medici dell’ospedale St. Joseph di Mishawaka aveva dapprima negato la gravidanza, poi aveva raccontato di aver avuto un aborto spontaneo, e di aver gettato il feto nato morto in un cassonetto. I pubblici ministeri hanno invece sostenuto che il feto era vivo, e proprio per questo motivo l’hanno accusata di negligenza.
Patel fa parte di una famiglia indù conservatrice e la sua gravidanza era motivo di scandalo, per cui era stata tenuta nascosta ai suoi genitori, e sarebbe anche questo difficile rapporto in famiglia ad aver favorito i fatti. Dopo la condanna sono state numerose le protesta delle organizzazioni a difesa dei diritti delle donne.