Accusato di blasfemia su Facebook, pakistano condannato a morte

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Un trentenne del Pakistan è stato condannato a morte per aver pubblicato contenuto blasfemo su Facebook. Sono stati i giudici di Bahawalpur, nella provincia orientale del Punjab, a sentenziare Taimoor Raza, arrestato nel 2016 per aver pubblicato contenuti offensivi su leader sunniti e sulle mogli del Profeta Maometto sul popolare social network. Taimoor, musulmano sciita (il Paese è a maggioranza sunnita), secondo l’accusa, stava facendo vedere ciò che aveva pubblicato sul suo telefono alla gente ferma al terminal degli autobus.

Il Pakistan applica severissime punizione a chiunque venga accusato di insultare Dio, l’Islam o un leader religioso. La pena più grande è, appunto, la condanna a morte. Nel 2014, un precedente: una coppia cristiana fu trovata colpevole di aver inviato un messaggio insultante l’Imam della moschea locale, messaggio che era però scritto in lingua inglese, dunque impossibile che fosse stato scritto dai due, analfabeti secondo il rapporto della stessa polizia. Amnesty International è convinta che le leggi contro la blasfemia siano in realtà un modo per calpestare i diritti umani della popolazione, in particolare le minoranze religiose.

Nel caso dell’imputato appena condannato a morte, la polizia lo ha arrestato senza controllare che il capo d’accusa sia reale. Nel Paese, comunque, ancora non è stata eseguita alcuna condanna a morte per blasfemia. Ma le decisioni delle varie Corti scatenano ed esacerbano gli animi. Nel 2014, un avvocato dei diritti umani, Rashid Rehman, fu ucciso nel suo ufficio. Il motivo? Si era sparsa la voce che avesse tentato di difendere, e di salvare dunque, un presunto bestemmiatore.

Il primo ministro del Pakistan, Nawaz Sharif, ha fatto un giro di vite sulla libertà di espressione su internet. Ha ordinato di rimuovere dai social media tutte le parole che possano in qualche modo riguardare la blasfemia. Avvertendo: “La pubblicazione di tale materiale sarà rigorosamente punito”. Esperti confermano che chi viene accusato di aver bestemmiato, prima ancora che dalla giustizia, venga punito dalla popolazione locale.

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