Ansa
Una sentenza che farà giurisprudenza e che potrebbe cambiare molte cose in tema di adozioni internazionali. Per la prima volta in Italia la Cai (Commissione Adozioni Internazionali) è stata condannata per omessa vigilanza. Condannata anche Airone Onlus, ente con sede a Savona, Roma e Bergamo, che è stata anche radiata dall’albo a seguito della denuncia di 21 coppie che si erano rivolte all’associazione per adottare bambini in Kighizistan e che si erano recati nella capita dell’ex Repubblica sovietica, Bishkek, proprio tramite l’ente: una volta arrivati, le adozioni si erano rivelate irrealizzabili perché i bambini avevano una famiglia e non erano in stato di abbandono. “È una sentenza che farà giurisprudenza“, spiega l’avvocato Pierfrancesco Torrisi che ha assistito una delle coppie nel procedimento.
La sentenza, la prima nel suo genere in Italia, certifica il mancato controllo della Cai, cioè dell’ente governativo nato per controllare e vigilare sulle adozioni internazionali. Il caso risale al 2012 quando i coniugi Falena Lepre e altre 20 coppie si rivolsero alla magistratura dopo il viaggio a vuoto nell’ex Repubblica Sovietica in quella che doveva essere un’adozione gestita dalla Airone Onlus.
La seconda sezione del Tribunale civile di Roma, nella persona del giudice Assunta Canonaco, ha stabilito che la Commissione non ha vigilato come dovrebbe e l’ha condannata a risarcire la coppia “a fronte delle evidenti gravi irregolarità”.
“Ora sarà il Tribunale Penale di Savona a stabilire se intorno alle adozioni fantasma girava un vero e proprio racket di minorenni spacciati per ‘orfani’, gestito dall’oggi latitante Alexander Anghelidi, imputato insieme ad altre 4 persone nel processo, tuttora in corso a Savona, per associazione a delinquere finalizzata alla truffa per la compravendita di bambini come ipotizzato dalla PM Daniela Pischetola“, spiega l’avvocato Torrisi.
La battaglia non è ancora finita. “Per ora una cosa è certa, scrive il magistrato Canonaco nella sentenza di Roma, cioè che l’Ente Airone Onlus operava tramite un referente di fatto diverso da quello indicato alla Commissione, mentre non erano stati raccolti dall’ente accreditato documenti fondamentali quali le schede dei bambini“, prosegue il legale.
La sentenza segna un primo passo importante perché conferma l’impianto accusatorio del processo penale, ma nel frattempo ci sono molte altre coppie che attendono giustizia dopo la vicenda kirghiza. “Continueremo a batterci affinché non accadano in futuro drammi simili, è necessario uno sforzo congiunto da parte di tutti gli enti e le autorità preposte al controllo“, hanno spiegato i coniugi Falena. “Il percorso adottivo deve essere una strada di incontro e di amore. nella massima trasparenza ed efficienza, sempre protetto e nel rispetto della Legge per tutelare i minori e le famiglie“.
La condanna per il Cai è molto significativa perché arriva a certificare un mancato controllo su una situazione che già di per sé è molto complessa. Che Alexander Anghelidi, 54 anni cittadino russo e oggi latitante, fosse un personaggio pericoloso lo si sapeva da tempo. “Fu il presidente di un altro ente ad avvisare le autorità italiane sulla pericolosità del personaggio, rivolgendosi alla Cai“, ci spiega l’avvocato Torrisi.
Eppure, nonostante l’allerta, la Commissione non intervenne e le coppie partirono per il Kirghizistan, scoprendo in loco la truffa: i bambini non potevano essere adottati perché avevano la loro famiglia. “Abbiamo dimostrato che la Cai sapesse di questo personaggio prima della partenza per l’ex Repubblica Sovietica“.
La sentenza è importante perché “per la prima volta in Italia viene condannato l’ente controllore sulle adozioni, quello che dovrebbe dare sicurezza e garanzia alle coppie“.
Il caso è indicativo di quello che l’avvocato Torrisi definisce il “vulnus” delle adozioni internazionali: i referenti esteri. “I controlli sono durissimi nei confronti degli enti e delle stesse famiglie, ma non lo sono altrettanto sui referenti esteri, spesso personaggi ambigui“.
Altro punto debole è la mancata copertura per le famiglie. “Le associazioni non hanno un’assicurazione e non esiste neanche un fondo di garanzia per le vittime della mancata adozione. Questo caso lo dimostra: queste coppie sono state mandate allo sbaraglio. Siamo riusciti, dopo anni, a far avere il risarcimento a una, ma ci sono tutte le altre che ancora aspettano“, continua l’avvocato Torrisi.
“Inoltre le famiglie devono pagare tantissimi soldi, fino a 10mila euro, prima dell’adozione per far partire le pratiche, anche quando l’adozione non va a buon fine – ricorda Torrisi – Bisognerebbe spezzare questo meccanismo, magari dare un anticipo e saldare quando si ha il bambino tra le braccia“.
Infine, alle famiglie che vogliono adottare, l’avvocato consiglia di “studiare bene il Paese di adozione, perché ognuno ha le sue difficoltà, e di pretendere la massima trasparenza nella gestione“.
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