È possibile avere agricoltura senza acqua? Lo spreco di questa importante risorsa per coltivare i campi è una delle criticità più urgenti del nostro tempo, alle prese con un pianeta sovrappopolato in cui ciò che la Natura offre rischia di non essere garantito per le future generazioni: a illustrarci come sia possibile quella che in apparenza sembra essere solo un’utopia ci pensa Waterless Farming, un libro scritto da Francis Freeman che illustra in dettaglio le tecniche attraverso cui far crescere piante ed ortaggi senza l’ausilio o quasi di acqua potabile.
Da molto tempo gli scienziati ci avvertono sul rischio desertificazione che investe non soltanto quelle porzioni di continenti che da sempre combattono con questa condizione atmosferica, pensiamo all’Africa subsahariana oppure il Medio Oriente, ma anche quelle terre floride che stanno conoscendo i disastrosi effetti del riscaldamento globale dovuto ai cambiamenti climatici, mettendo in pericolo colture e biodiversità. Se la siccità aumenta ovunque, per arginare l’impoverimento agricolo le tecniche descritte in Waterless Farming possono offrire una soluzione efficace anche in termini di soldi e tempo, oltre che per le considerazioni ecologiche fin qui portate avanti. Un futuro in cui sia possibile un’agricoltura che non necessiti di irrigazioni non solo è auspicabile, ma necessario.
Problemi ambientali legati all’acqua in agricoltura
Nel suo libro Freeman ci ricorda come il 70 per cento dell’acqua potabile che consumiamo è destinato all’agricoltura: un’enormità, che rende questa risorsa sempre più preziosa, e secondo alcune tesi apocalittiche potrebbe essere la ragione principale delle future guerre di domani. Oltre all’abbondante uso ‘normale’ di acqua, per coltivare i campi in alcune parti del mondo si usano delle modalità che comportano gravi problemi ambientali. L’autore ne cita due in particolare di tecniche dannose, ovvero l’utilizzo di acqua fossile e quello di acqua prelevata dai fiumi.
Nel primo caso lo sfruttamento di bacini acquiferi depositati nel sottosuolo significa utilizzare una risorsa non rinnovabile, al pari di un’estrazione mineraria, con il risultato che ‘si va a consumare una risorsa accumulatasi nell’arco di milioni di anni, per pochi anni di raccolti‘, come scrive Freeman, ed è quanto accade in Paesi come Cina, India, Iran ed Egitto, solo per citarne alcuni. L’uso dell’acqua di fiume invece è una pratica antichissima, eppure negli ultimi decenni la situazione è enormemente peggiorata per l’abuso di dighe, canali e deviazioni delle correnti che causano un impoverimento dell’ecosistema naturale presente. Perché dunque, si chiede ancora l’autore, ‘non sostituire tecniche di questo tipo, distruttive e poco proficue, con tecniche che salvaguardano il delicato ecosistema in cui viviamo, rispettose di ogni tipo di forma di vita sul pianeta e soprattutto in grado di fornire la stessa quantità di prodotti ed essere utilizzate per sempre, senza alcun tipo di danno collaterale‘? È quello che si propone di fare Waterless Farming, illustrando delle tecniche, alcune più note altre meno, che lo stesso Freeman ha sperimentato in proprio l’una dopo l’altra.
Le tecniche di coltivazione senza acqua
Le tecniche di di coltivazione senza l’ausilio di acqua o quasi presentate nel libro sono essenzialmente tre: la prima è l’irrigazione a goccia, che consente di risparmiare dal 30 fino al 70 per cento di acqua. Come si può intuire facilmente dal nome, questa modalità di coltivazione consente di amministrare con molta parsimonia il consumo di acqua per le piante, evitando dispersioni e sprechi, e richiede anche meno tempo e fatica da parte dell’agricoltore. Freeman illustra nei minimi particolari come realizzare un impianto sia di natura professionale che anche nel fai-da-te per il proprio piccolo orto, sfruttando vecchie bottiglie di acqua. Tuttavia l’autore consiglia gli altri due metodi descritti, poiché consentono di risparmiare il 100 per cento di acqua e sono totalmente eco-compatibili, al contrario dell’irrigazione a goccia che può comportare il rischio di rilasciare qualche sostanza tossica nel terreno.
La seconda metodologia prevede delle innovazioni alla tecnica standard della pacciamatura, già nota da tempo in campo agricolo, essendo anche a basso costo e a basso impatto ambientale, in cui il terreno nelle vicinanze delle piante viene ricoperto con strati di materiali. All’interno delle tradizionali forme di pacciamatura Freeman illustra quello che lui chiama il metodo Jean Pain, in cui l’elemento fondamentale è il compost di bosco, ovvero sfruttando rami piccoli e grandi degli alberi. In questo modo è la natura stessa a fornire il nutrimento necessario per le piante, ed è possibile, imparando questa tecnica, risparmiare il 100 per cento di acqua per tre mesi.
L’ultima tecnica è un oscuro acronimo, RCW, dietro cui si cela il cippato di ramaglie fresche. Di cosa si tratta? Messa a punto tra gli anni Settanta ed Ottanta del secolo scorso da due studiosi canadesi, questa tecnica di agricoltura biologica ha lo scopo di arricchire e concimare il suolo consentendo di coltivare senza irrigazione per un tempo fino a tre anni, grazie ancora una volta all’uso di rametti, seppur in maniera completamente differente dalla tecnica Jean Pain precedentemente spiegata. Importante in questa tecnica è la scelta delle piante da cui ricavare i rametti, e Freeman si prodiga nell’indicare quali vanno bene e si possono trovare in ogni angolo del pianeta.
Conclusioni
Al di là degli aspetti meramente tecnici riguardo l’agricoltura senza acqua, questo Waterless Farming è un punto di partenza importante per una riflessione sul futuro che ci aspetta e su cui dobbiamo lavorare per non farci trovare impreparati. La necessità di usare fonti rinnovabili e di non sprecare le risorse energetiche che il pianeta ci mette a disposizione è una questione non più eludibile, senza contare che l’uso di tecniche in cui l’invadenza dell’uomo sul ciclo naturale è troppo pesante rischia di generare effetti collaterali disastrosi, e non soltanto in campo agricolo, come abbiamo purtroppo constatato. Dietro la parola ‘sostenibilità’ con cui spesso ci riempiamo la bocca, senza forse avere davvero un’idea chiara di quello che significhi e che bisogna fare per ottenerla, si celano proprio progetti e metodologie in grado di far convivere l’uomo e l’ambiente naturale in un delicato ed armonico equilibrio. Proprio quello che ci insegna un libro come quello di Francis Freeman.