Sentiamo sempre più spesso parlare di agroecologia, ma poca chiarezza vige su cosa sia realmente e in cosa consista questa vera e propria filosofa di vita che va ben oltre le modalità con cui si coltivano i campi agricoli. La definizione più generica vede nell’agroecologia un’applicazione dei principi ecologici alla produzione di alimenti, ma anche carburante, fibre, farmaci, nonché alla gestione di agrosistemi, ma al suo interno si segnala una vasta pluralità di approcci, che oggi conferiscono dignità scientifica ad una modalità di pensiero che fino a non troppi anni fa era ignorata e marginalizzata dal mondo accademico.
Di fondo l’agroecologia non si lega a nessun particolare metodo di coltivazione, né è definita da una specifica pratica gestionale, ma rappresenta un approccio multidisciplinare che non disdegna nemmeno l’utilizzo delle tecnologie, combinandole con le risorse naturali, sociali ed umane al fine di trovare una giusta armonia con la natura circostante. Ma allora che cos’è l’agroecologia? Se volessimo proprio ridurre ad unità elementari questa complessa metodologia, potremmo dire che rientra in essa qualsiasi attività teorica e pratica che rovescia il modello di sviluppo vigente, caratterizzandosi quale un paradigma sostenibile e alternativo nello studio e nella gestione degli agrosistemi, come viene descritto anche nel film Domani incentrato proprio sui principi dell’agroecologia.
Come funziona l’agroecologia
L’interesse per l’agroecologia è andata aumentando sempre di più di fronte all’urgenza e all’impatto ambientale di problemi quali i cambiamenti climatici o la necessità di sfamare una popolazione sempre più elevata di numero, e che rischia di ritrovarsi senza risorse alimentari fondamentali entro il 2050, secondo alcune previsioni allarmistiche. Dinanzi al sostanziale fallimento dell’agricoltura di tipo industriale, si è fatta strada anche nel cuore e nella mente dei più scettici la volontà di affidarsi ad un modello di coltivazione biodiversificato, produttivo, resiliente e socialmente giusto come quello agroecologico. Possiamo dire che l’agroecologia funziona su tre livelli: il primo prevede lo studio degli agrosistemi e delle sue componenti fondamentali, suolo, acqua, biodiversità animale e vegetale, mediante una pluralità di metodi quali tecniche tradizionali, la policoltura, la permacultura, l’agricoltura biologica e biodinamica, l’agroforestale, le reti di sementi contadine e via discorrendo. Non vi è un rifiuto netto della tecnologia, come detto in precedenza, ma un’applicazione virtuosa in connubio con i saperi antichi, al fine di interconnettere i quattro assi degli agrosistemi, ovvero produttività, stabilità, sostenibilità ed equità.
Ad un secondo livello l’agroecologia opera sul piano socio-economico, all’interno di un nuovo e fecondo rapporto tra città e campagna, che prevede il ritorno di donne e soprattutto giovani alla vita contadina, e a nuove ideologie sociali e politiche: pensiamo all’idea della distribuzione dei prodotti a chilometri zero, per fare un esempio tra i più comuni, ma soprattutto nel Sud del mondo l’agroecologia assume contorni esplicitamente politici, in termini di giustizia sociale ed economica, come ad esempio nella difesa delle colture tradizionali delle popolazioni indigene, e questo rappresenta il terzo ed ultimo livello.
Agroecologia: esempi famosi
Uno degli esempi più famosi di agroecologia è data dall’applicazione dei principi dell’agricoltura biologica e della biodinamica, come ad esempio fa da decenni il celebre Pierre Rahbi, considerato un vero guru del’agroecologia, che ha generato seguaci come Madre Iossifia del Monastero ortodosso di Solan e l’attivista indiana Vandana Shiva, che hanno creato delle ‘oasi di vita’ in cui sono state ripristinate colture tradizionali in aperto contrasto con la cultura industriale del mondo agricolo. Forse l’esempio più conosciuto di laboratorio permanente di agroecologia è quello di
Cuba, che dovendo rinunciare al sostegno agricolo fornito dall’Unione Sovietica è riuscita comunque a mantenere alte produttività senza ricorrere ad apporti esterni: questa situazione ha dato vita ad un movimento di ricercatori, tecnici e contadini che in circa un decennio ha fatto aumentare i rendimenti delle colture attraverso la diversificazione dei sistemi agricoli, e la preparazione di fertilizzanti naturali riciclando semplicemente i prodotti disponibili nelle fattorie. Perché di fondo questa è l’agroecologia: essere autosufficienti ottimizzando le risorse a disposizione, e rispettando le biodiversità e le caratteristiche del territorio, ritrovando così quell’armonia perduta con l’agricoltura di tipo industriale nel rapporto con la natura circostante.
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