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«Non ci sono zone franche alla penetrazione della mafia, ma oggi l’agroalimentare non è soltanto un qualunque comparto economico: è particolarmente interessante e allettante, anche per investimenti di origine illecita, perché continua a funzionare nonostante la crisi economica». Così Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Criminalità nell’Agricoltura e sul Sistema Agroalimentare, commenta in una video-intervista esclusiva gli allarmanti dati dal III Rapporto Agromafie.
Secondo il Rapporto, elaborato da Coldiretti, da Eurispes e dallo stesso Osservatorio, nel 2014 il valore dei crimini nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare ha infatti raggiunto 15,4 miliardi di euro, con un incremento del 10% rispetto al 2013, anno in cui, con circa 14 miliardi di euro, aveva già segnato un aumento record (pari al 12%) rispetto a due anni prima.
«Il comparto agroalimentare – spiega Gian Carlo Caselli, già Procuratore della Repubblica a Palermo (dove ha ottenuto importantissimi risultati contro la criminalità organizzata) e poi a Torino e Direttore Generale del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – in quanto i consumatori devono mangiare anche e nonostante la crisi e in quanto il made in Italy nell’agroalimentare ha un appeal straordinario e, nonostante la crisi economica, è il fiore all’occhiello delle nostre esportazioni, continuando a crescere».
«I mafiosi – continua Caselli, che è stato anche Rappresentante italiano nell’organizzazione comunitaria Eurojust contro la criminalità organizzata – cercano di entrare in tutti i segmenti della filiera: la produzione, la trasformazione, il trasporto, la distribuzione, il commercio e via via fino alla ristorazione».
Per questo la penetrazione della mafia nel comparto agroalimentare ha gravissime conseguenze, oltre che di tipo economico, anche sulla salute dei consumatori: «Le vie attraverso cui la mafia si inserisce nell’agroalimentare sono molte: per esempio, molti dei cibi presentati come “made in Italy” in realtà non hanno proprio niente di italiano perché sono ottenuti con ingredienti importati dell’estero, che costano poco. Infilati, però, in prodotti presentati come “made in Italy” vengono fatti pagare molto di più e quindi si creano gli spazi per guadagnare e riciclare, e la mafia ha i mezzo per approfittarne».
«Poi c’è il cosiddetto Italian Sounding e quindi ditte straniere o italiane delocalizzate all’estero che imitano i prodotti italiani e li presentano (e li fanno pagare, ndr) come tali», creando nuovamente gli spazi necessari per il guadagno e il riciclaggio, «e l’Italian Laundering, ovvero marchi anche prestigiosi che vengono acquistati da altri, ma queste acquisizioni sono spesso un terreno opaco e grigio nel quale possono infilarsi anche attività di riciclaggio».
«Il cibo contraffatto, adulterato o comunque non corrispondente a criteri di produzione rigorosi presenta dei rischi, a volte anche molto consistenti, per la salute dei consumatori, oltre a danneggiare i produttori onesti».
«Cibo sano – conclude Caselli – deve anche essere cibo prodotto rispettando l’ambiente, le caratteristiche del territorio e quindi le identità e le specificità dell’agricoltura italiana. La tendenza di chi deve guadagnare, come le mafie, è, però, quella di privilegiare la quantità alla qualità». Così le agromafie diventano un pericolo anche per la salute dell’ambiente.
N.B.
Quando vengono individuati, i terreni confiscati alle mafie vengono spesso dati in gestione a cooperative che fanno parte del consorzio Libera Terra, vera e propria “boccata di speranza” per l’agroalimentare in Italia. Leggi qui l’intervista all’amministratore delegato Valentina Fiore.
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