Aids: scopriamo i sintomi, la cura, le modalità di contagio e la diffusione in Italia e in Europa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Centro europeo per il controllo delle malattie hanno messo a punto un rapporto che rivela una realtà preoccupante nel nostro continente. Lo studio mostra un vero e proprio aumento di casi di questa malattia nei 53 Paesi della regione europea dell’OMS: si parla di 142.000 nuovi casi nel 2014, un numero che riporta alla mente l’inizio degli anni ’80, quando la diffusione dell’Aids ha raggiunto livelli molto elevati.
L’emergenza in Europa
Proprio dagli anni ’80 non si parlava di un numero di casi così alto in Europa. I Paesi in cui si è registrato nel 2014 un numero maggiore di infezioni sono Romania, Slovacchia e Cipro. La percentuale più bassa (o addirittura quasi nulla) riguarda, invece, Slovenia, Liechtenstein e Islanda.
Il direttore del Centro europeo per il controllo delle malattie, Andrea Ammon, ha spiegato che in alcuni Paesi dell’UE le diagnosi sono raddoppiate nel giro di 10 anni, mentre in altri sono diminuite del 15%. In sostanza complessivamente negli ultimi anni la situazione non è migliorata affatto.
I numeri in Italia
Nel nostro Paese la situazione non è molto cambiata rispetto agli ultimi anni. Nell’anno preso in considerazione dalla ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità, il 2014, c’è stata un’incidenza di 6,1 nuovi casi della malattia ogni 100.000 abitanti. Si parla in particolare di 3.600 persone che l’anno scorso hanno scoperto di aver contratto il virus.
Gli italiani più colpiti sono i giovani tra i 25 e i 29 anni (il 79,6% dei casi nell’anno considerato). Si tratta nella maggior parte dei casi di uomini, visto che nelle donne l’incidenza continua a diminuire.
E’ fallita la sensibilizzazione?
Questi dati ci fanno riflettere sulle numerose campagne di prevenzione che vengono spesso portate avanti, anche nel nostro Paese. In generale in Europa la prima causa di infezione, infatti, secondo i dati a disposizione, è quella relativa ai rapporti sessuali.
Bisogna considerare anche che un dato molto negativo è quello che riguarda la consapevolezza della malattia. Nel 2006 il 20% dei pazienti non sapeva di essere sieropositivo fino alla manifestazione dell’Aids. Nel 2014 la percentuale è aumentata fino a raggiungere il 71,5%. Rimanendo in tema di cause, è stato visto che sono praticamente scomparsi i nuovi casi relativi all’uso delle droghe (si parla del 4,1%).
I sintomi
L’infezione da HIV deve essere suddivisa in quattro fasi. Il primo periodo è quello dell’incubazione, ha una durata che varia da 2 a 4 settimane dal contagio ed è privo di sintomi. Successivamente si ha la fase dell’infezione acuta, che può durare circa 28 giorni. In questo periodo sono evidenti alcuni sintomi simili a quelli dell’influenza, come febbre, mal di gola, malessere generale, dolore muscolare, ingrossamento dei linfonodi e piccole piaghe nella bocca. In alcuni casi, piuttosto rari, possono essere presenti anche nausea, vomito, perdita di peso, mal di testa e sintomi a livello neurologico.
In seguito si verifica un periodo di latenza, privo di sintomi, che può durare da 2 settimane fino a 20 anni. Infine la quarta fase è quella della malattia, con la comparsa di infezioni come la polmonite e di tumori come linfomi o il sarcoma di Kaposi.
Il contagio
La trasmissione dell’HIV avviene con il contatto diretto con il sangue o i liquidi corporei di una persona affetta dal virus. Il contagio può avvenire attraverso rapporti sessuali non protetti o con scambio di aghi usati per l’iniezione di droga, per piercing o tatuaggi. La trasmissione a causa del contatto con una ferita aperta o delle trasfusioni di sangue avviene in maniera molto rara.
La saliva non contiene una quantità molto alta del virus, a meno che non si sia in presenza di problemi nella bocca che possano determinare la fuoriuscita di sangue. Il virus dell’HIV si può trovare significativamente nel sangue, nel fluido vaginale, nello sperma e nel latte materno. Il virus può essere trasmesso anche al momento della nascita, durante l’allattamento o durante lo sviluppo del bambino nell’utero della madre.
I comportamenti a rischio
Sono a rischio alto di contagio alcuni comportamenti, come un rapporto anale o vaginale non protetto, l’eiaculazione in bocca o sulla faccia (il liquido seminale può venire a contatto con la mucosa della bocca e degli occhi). Il rischio può essere considerato nullo in caso di baci (a meno che non si sia in presenza di gengivite, parodontopatia o ferite sanguinanti), di contatto con sudore e lacrime.
Non ci sono pericoli nella vita in famiglia (baci sulla guancia, abbracci, condivisione di letti, starnuti, colpi di tosse). Non si dovrebbero, invece, utilizzare in condivisione rasoi e spazzolini da denti. In generale non rappresentano comportamenti a rischio nemmeno la masturbazione maschile e quella femminile (se non avviene contatto tra liquido seminale e pelle non del tutto integra e se le mani vengono lavate accuratamente prima di un contatto con parti intime o mucose).
La cura
Attualmente non esiste una cura efficace contro la malattia. Nell’attesa che la ricerca scientifica possa individuare un vaccino, la prevenzione resta il modo migliore per evitare la trasmissione della malattia. Esistono dei farmaci che possono permettere di tenere sotto controllo i sintomi e di migliorare la qualità di vita dei pazienti.
A che punto è la ricerca?
Nonostante i dati relativi ai nuovi casi in Europa, le agenzie afferenti all’ONU (come l’OMS e l’Unicef) rivelano che negli ultimi anni è diminuita la mortalità per Aids. Tutto questo è possibile anche grazie ad una diffusione più ampia delle terapie antiretrovirali, che riescono a far aumentare la possibilità di sopravvivenza. Secondo le stime, nel corso del 2010 i medicinali di questo tipo sono riusciti a salvare la vita a 700.000 persone.
La scienza nel corso del tempo ha compiuto grandi passi in avanti nella terapia contro l’Aids. Anche se ancora non è possibile trovare una cura risolutiva per combattere la malattia, bisogna considerare che i farmaci attuali riescono a tenere sotto controllo il virus e a renderlo meno aggressivo: basta pensare che 20 anni fa era necessario assumere 28 compresse al giorno, mentre oggi ne bastano 2. L’obiettivo della ricerca è quello di trovare nuove cure farmacologiche per debellare la malattia, ma si cerca anche un vaccino per prevenire la diffusione del virus.
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