Filomena Lamberti, 64enne salernitana, è stata la prima donna italiana vittima di violenza ad essere stata sfregiata con l’acido dall’ex marito. Oggi sono passati dieci anni da allora e la 27esima ora insieme al settimanale F hanno organizzato una raccolta fondi per poterla aiutare a sostenere le spese necessarie per curarsi e per vivere. Ma cosa accade esattamente quel 28 maggio del 2012?
La prima volta che in Italia una donna fu sfregiata con l’acido dal suo ex marito era esattamente il 28 maggio del 2012. Quella donna risponde al nome di Filomena Lamberti e ancora oggi, dieci anni dopo, continua a portare sul volto e sul corpo chiari segni di aggressione. Ecco cosa accade davvero quella fatidica notte in cui la sua vita cambiò per sempre.
28 maggio 2012. Sono le 4 del mattino, Filomena Lamberti sta dormendo, come ogni notte, nel suo letto. Non è di certo quella una notte tranquilla, perché lo spettro della separazione dal marito incombe su di lei. Ma non è solo questo a turbarla: è come sono arrivati a decidere di dirsi addio il problema, è il motivo alla base, è tutto quello che è successo prima, nell’arco di più di 30 anni di vita insieme.
Per comprendere cos’era accaduto davvero, però, dobbiamo riavvolgere il nastro e tornare a molti anni prima, circa 35. Filomena ha 16 anni, è solo un’adolescente e forse neanche ancora conosce il significato della parola amore, quello più vero, profondo, sincero. In una balera a Salerno, la sua città natale, conosce un giovane di nome Vincenzo, si innamora di lui e decide che sarà lui l’uomo con cui condividerà la sua vita. Una vita, però, di violenza, ricatti, prigionia indotta, ma all’epoca Filomena non poteva saperlo, era solo una ragazzina, non conosceva ancora quanto pericoloso sarebbe stato il mondo e di certo non poteva sapere che il pericolo più grande avrebbe vissuto proprio accanto a lei, dormito nel suo letto, sarebbe diventato il padre dei suoi tre figli.
Eppure ben presto la ragazza, divenuta nel frattempo una donna, dovrà capire che c’è qualcosa che non va. L’uomo che credeva l’amasse alla follia, diventa ben presto il suo carceriere, la sua casa diventa la sua prigione, il suo lavoro diventa paradossalmente il suo unico contatto con il mondo. Come racconterà la protagonista di questa triste vicenda al Messaggero, parlando di Vincenzo: “Abusava di superalcolici, diventava aggressivo. Io ero convinta, come tante altre, di poter fare la crocerossina e di cambiarlo. Macché. Erano solo botte e insulti. Sola contro un mostro. Un grande amore si trasformava sempre più in odio”.
Eppure non riesce a trovare il coraggio di andare via: lavora anche con il marito – avevano una pescheria insieme – e questo fa crescere in lei la paura di ritrovarsi sola, senza soldi, senza lavoro, con tre figli da mantenere. Ad un tratto, però, Filomena non ce la fa più. Inizia così quella che lei stessa definisce la sua “ribellione”. Ormai è stanca di subire, ha deciso di agire. Lui continua a minacciarla dicendole: “Se te ne vai, ti metterò su una sedia rotelle, ti spezzo le gambe”, ma anche in quei casi lei continuava a rispondere a tono: “Meglio la sedia a rotelle che finire i miei giorni accanto a te”.
Ormai Filomena è sola, i suoi figli sono le uniche persone che le è concesso vedere, ma il problema principale è che non è l’unica che vedono: vedono anche il modo in cui il loro padre la tratta, la osservano incassare colpi, come delle spugne assorbono quei comportamenti violenti, forse iniziano a pensare che dovrebbe essere quella la normalità, perché è l’unica “normalità” che conoscono. Almeno questo è quello che accade ad uno di loro che, preso dalla rabbia, un giorno dà uno schiaffo alla fidanzata.
Quel gesto rende a Filomena chiara la realtà dei fatti: ormai davanti ai suoi occhi è tutto limpido. Deve andarsene, portare con sé i figli, allontanarli da quell’uomo violento che vedono come esempio da seguire. Quei ragazzi, che per tutta la loro vita avevano assistito a scene di abusi, maltrattamenti, prepotenza assoluta, devono “guarire”, capire come dovrebbe andare davvero il mondo e soprattutto come un uomo dovrebbe davvero trattare la sua donna.
A quel punto decide di dire basta: va da Vincenzo, gli chiede la separazione. Lui finge di aver accettato di buon grado e invece proprio quando ormai mancano pochi giorni all’ufficialità della pratica, commette l’ultimo gesto nei confronti della moglie, il più estremo.
Sono le 4 del mattino del 28 maggio 2012, dicevamo. Siamo a Salerno, Filomena Lamberti sta dormendo nel suo letto, consapevole che quella sarebbe stata una delle ultime notti trascorse accanto all’uomo da cui per anni aveva subito vessazioni, speranzosa probabilmente che la sua storia di violenza sarebbe presto terminata. Eppure, proprio quando ormai aveva intravisto il primo raggio di luce alla fine del tunnel sotto cui aveva vissuto per più di trent’anni, succede l’impensabile. Ad un tratto suo marito le si avvicina alla spalla, la guarda e urla “Guarda che ti do” e le getta sul viso e sul corpo una bottiglia di acido solforico. Quello è l’ultimo atto di un dramma durato più di tre decenni.
I figli, che dormivano nella stanza accanto, sentono le urla della madre, la prendono e la portano all’ospedale. “Il mio corpo bruciava e anche la mia anima. Bruciavano la fronte, gli occhi, il naso, il mento, il collo, i capelli, il braccio, i fianchi, le gambe”, così comincia il racconto della protagonista, che oggi si può definire una donna libera.
Da lì, però, inizia il suo calvario: in questi dieci anni Filomena ha subito ben 30 interventi e nonostante ciò ha lesioni permanenti agli occhi, mobilità del braccio sinistro limitata, ustioni gravissime a viso, testa, collo. Nel frattempo suo marito è stato arrestato sì, ma dei 18 mesi a cui era stato condannato per maltrattamenti ne ha scontati solo 15.
Come ha affermato la stessa donna inoltre: “Io non sono stata mai ascoltata e mai vista da nessuno. La Filomena di oggi, la prima cosa che direbbe alla Filomena di ieri è di amarsi un po’ di più. Per me questa è una nuova vita. La mia identità è stata violata ma è anche la vita di una donna libera. Lui vedeva amanti ovunque, era tutto tabù. Bisogna denunciare alla prima forma di violenza. Alla prima forma di violenza bisogna dire ‘no’ e lasciarlo”. Per Filomena, insomma, giustizia non è mai stata fatta davvero, ma non è solo questo il problema. I trattamenti che dovrebbe fare per poter stare meglio definitivamente sono estremamente costosi. Non rientrano in quelli convenzionati con il sistema sanitario nazionale, perché le cicatrici in Italia sono equiparate a trattamenti estetici e non a vere e proprie malattie, a prescindere da dove derivino. Eppure quelle di Filomena continuano a peggiorare e necessiterebbero di cure. Ad aiutarla negli anni è stata l’associazione “Women for women” di Donatella Gimigliano, che le ha dato l’opportunità di usufruire della Biodermogenesi per la rigenerazione tissutale: è stata inserita nel progetto RigeneraDerma che offre gratuitamente a 500 persone il trattamento. Così sta riacquistando sensibilità al viso, ma questo ancora non basta.
Filomena oggi vive con 300 euro al mese di invalidità e altri 679 del reddito di cittadinanza percepito da uno dei suoi figli che vive con lei ed è affetto da una malattia grave che gli impedisce di lavorare. Il suo ex marito, dopo aver già non pagato a dovere il gesto che ha commesso, dovrebbe darle tecnicamente 350 euro al mese, che in realtà però non le ha mai dato. Così, per poterla aiutare ad andare avanti, la 27esimaOra e il settimanale F hanno deciso di dare il via ad una raccolta fondi, a cui è possibile accedere tramite il sito delle due realtà. Chiunque volesse aiutarla, può donare qualsiasi somma: anche un piccolo contributo per lei può fare la differenza.
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