Alessandra Clemente, Assessore alle politiche giovanili del Comune di Napoli, ha le idee chiare su quali siano i motivi che hanno provocato a Napoli una guerra di camorra fra giovanissimi, spesso ancora minori. «Uno dei problemi – spiega a NanoPress.it – è la fragilità della forza repressiva nei confronti di minori». E infatti fra le soluzioni la Clemente propone di «iniziare una riflessione sulla condizione minorile dal punto di vista repressivo ma soprattutto di recupero», anche se sostiene che sarebbe necassario «un vero e proprio “piano Marshall” per l’infanzia» a Napoli.
Cosa sta succedendo a Napoli?
«Abbiamo una città che sta vivendo due forti momenti. Da un lato c’è una scia di sangue che sembra non voler terminare, dove giovanissimi sono protagonisti, vittime e carnefici allo stesso tempo. Dall’altra parte, invece, ci sono giovanissimi protagonisti, in particolare con Un popolo in cammino, che stanno fortemente denunciando la presenza della criminalità. Questa è l’immagine che vorrei consegnare all’opinione pubblica, soprattuto a chi non conosce la realtà di Napoli.
Da un lato c’è, infatti, una recrudescenza che però è isolata, è molto contestualizzata in episodi con dinamiche criminali; dall’altra parte c’è una vera onda culturale di mobilitazione fatta non più da addetti ai lavori, cioè istituzioni, associazioni o scuole, ma in modo spontaneo dai ragazzi che sono gli stessi ragazzi che dall’inizio dell’anno stanno vivendo anche in prima persona l’esperienza di un amico o di un compagno del quartiere ucciso in modo feroce. Penso agli amici di Genny Cesarano, ragazzi del quartiere di Luigi Galletta, le ragazze e le mamme del quartiere di Maikol Giuseppe Russo a Forcella.
C’è una città che, con grande determinazione, con questi momenti anche di assemblee e manifestazioni con centinai di persone, ha una grande consapevolezza di voler eliminare questo fenomeno».
Come si è arrivati ad avere una faida tra ragazzini?
Uno dei problemi è la fragilità della forza repressiva nei confronti di minori: l’impunibilità fino ai 14 anni e la semi-punibilità dai 14 anni in poi disegna l’utilizzo di questi ragazzi per le dinamiche più cruente. Un altro dei problemi è sicuramente l’intollerabile presenza delle armi nella nostra città.
Quando questi ragazzi, magari non ancora quattordicenni, vengono intercettati in episodi di violenza ancora banali devono essere segnalati e riconsegnati alle famiglie e questa è la fragilità del sistema repressivo. Consapevoli di questo, noi come istituzione, abbiamo centuplicato anche le risorse e le attività culturali, educative e formative verso i giovani. Durante gli anni abbiamo aperto due centri giovanili di 5mila mq che sono luoghi fisici, veri, concreti, all’interno dei quali vogliamo creare l’alternativa alla strada e anche alle loro famiglie con contesti di socialità.
Queste attività stanno incentivando quella parte dei giovani si sta ribellando alla camorra?
Sì, c’è un’osmosi reciproca. Dal dolore si sta infatti generando speranza e denuncia, invece che rassegnazione. Questo è un dato da prendere in considerazione. A questa voglia di cambiamento deve corrispondere la presenza sul territorio per alimentare nel modo più forte possibile questo vento di reazione. Siamo partiti dalla consapevolezza che ci sono tanti centri inattivi in città: mi piace lavorare alla loro apertura affinché, con i ragazzi e le famiglie che stanno reagendo, possiamo vincere la battaglia sul campo.
La vera battaglia, però, è al reddito. E’ necessario creare condizioni di libertà in tutte le classi sociali e soprattutto in quelle che versano più in difficoltà. E, quindi, una città che sia realmente al servizio del cittadino.
Ma quali devono essere le strategie per contrastare velocemente questa faida?
«Quello che è stato l’esito dell’ultimo comitato per l’ordine e il servizio pubblico, a cui è intervenuto anche il Ministro Alfano. Ovvero rendere efficaci e potenziare il numero di telecamere, dare strumenti d’intelligence investigativo e iniziare una riflessione sulla condizione minorile dal punto di vista repressivo ma soprattutto di recupero.
Nel Quattrocento a Napoli i conservatori sono nati proprio per conservare lo stato d’innocenza nei giovani, negli scugnizzi rispetto alla strada attraverso l’arte e la cultura. Bisogna collegare sempre di più il mondo della giustizia e della sicurezza con quello della scuola e della prevenzione: investire anche nella cultura non lo vedrei qualcosa di stonato in questo momento.
Va bene mandare l’esercito negli obiettivi sensibili, non in tutta la città, è necessario il presidio degli obiettivi sensibili, ma bisogna anche far presente che nella nostra città ci sono cento maestri di strada e operatori di mediazione culturale che possono fare molto. E’ importante avere una visione d’insieme ed essere consapevoli che ci sono più interventi che si possono fare: un vero e proprio “piano Marshall” per l’infanzia nella nostra città».