Il nuovo romanzo di Alessandro D’Avenia, Ciò che inferno non è, ha una trama quasi autobiografica: la storia – la cui recensione di pubblico è molto buona – è quella di un ragazzo palermitano cresciuto con un insegnante di religione molto speciale, don Pino Puglisi, e sembra ricalcare quella del suo autore durante gli anni dell’adolescenza, quando Palermo e l’Italia intera facevano i conti con una mafia sanguinaria e votata alle stragi. In libreria dal 28 ottobre per Mondadori, il romanzo arriva sull’onda del successo di Cose che nessuno sa, pubblicato nel 2011 e, ancora prima, di Bianca come il latte, rossa come il sangue, considerato uno degli esordi letterari più felici degli ultimi anni. Da quest’ultimo romanzo è stato tratto anche un film, prodotto da Rai Cinema, uscito nelle sale nell’aprile dello scorso anno.
‘Per capire l’inferno bisogna conoscere ciò che inferno non è‘: questo è il motto da cui prende vita l’ultimo romanzo del giovane scrittore palermitano Alessandro D’Avenia. Un racconto che, sullo sfondo di una città divisa in due – quella ‘bene’, paradisiaca da una parte, e quella infernale, dei casermoni di cemento e di Cosa Nostra dall’altra – descrive l’ultima estate di un uomo che ha lottato, fino alla fine, contro la macchina mafiosa che affliggeva il suo quartiere, Brancaccio, e non solo. Don Pino Puglisi, figura centrale del romanzo, fu, infatti, insegnante, nonché amico, dello scrittore siciliano che del parroco colse la grande umanità messa al servizio dei più deboli, dei ragazzi, di coloro cioè il cui destino era quello di diventare, se non fossero stati raccolti dalla strada, tragica manovalanza mafiosa.
Trama
Siamo a Palermo, nel maggio del 1992: nel bel mezzo di una festa tra liceali, arrivono dalla tv le terribili immagini della strage di Capaci. Tra quei ragazzi c’è anche Federico, diciassettenne della Palermo ‘bene’ in procinto di partire, una volta finita la scuola, per una vacanza studio in Inghilterra. Alla vigilia della partenza il giovane incontra 3P, come lo chiamano ‘i suoi ragazzi’, padre Pino Puglisi che invita Federico a fare del volontariato a favore dei bambini di Brancaccio. Il parroco, infatti, ha fondato un centro chiamato Padre Nostro in cui accoglie i ragazzi del quartiere per strapparli dai ‘padrini’ di Cosa Nostra. Federico accoglie l’invito, ignaro del fatto che quella decisione gli avrebbe cambiato la vita: quella stessa sera, infatti, torna a casa senza bici – gliel’hanno rubata – con il labbro spaccato e con la testa piena di interrogativi sulla vita e sul suo futuro, consapevole di aver scoperto una realtà nuova, terribile, ma, allo stesso tempo, vicinissima anche a lui.
Il 15 settembre dell’anno dopo, nel giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno, padre Puglisi viene ucciso, lasciando la speranza di una Palermo nuova, rigenerate dalle spire mafiose, nelle sue mani di adolescente. Federico si ritrova così con una nuova consapevolezza, catapultato nel mondo dei grandi, per cercare di difendere, grazie all’eredità lasciatagli dal suo insegnante/amico, ciò che, in mezzo all’inferno, inferno non è.
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Recensione
Sullo sfondo di una Palermo afflitta dalla mafia, Alessandro D’Avenia ci regala un romanzo che vuole essere, in primo luogo, un omaggio – senza alcun intento agiografico – ad una delle figure più importanti nella lotta sociale a Cosa Nostra. Un uomo, padre Puglisi, che l’autore ha conosciuto durante gli anni del liceo, subendone il fascino della semplicità e dell’umanità che aveva nel parlare al cuore della gente, soprattutto dei ragazzi. Ambientato in una città contraddittoria, soffocata dall’omertà ma anche capace di straordinarie testimonianze di coraggio come quella di don Puglisi, l’autore affronta le tematiche più diverse, dalla scuola, all’adolescenza, mettendo in risalto la capacità di trasmettere entusiasmo ai giovani anche in una situazione difficile come quella vissuta da Palermo, in quegli anni drammatici di lotta alla mafia.
Scorrevole e molto ben scritto – a parte, forse, un eccesso di ridondanza dovuto all’uso frequente di figure retoriche – il romanzo risente positivamente dell’abilità narrativa dell’autore e dell’emozione che deriva dal fatto di essere stato testimone di un’opera, quella di Puglisi, che ha segnato per sempre le coscienze degli italiani. Un romanzo coraggioso che convince anche perché D’Avenia poco si lascia andare a riflessioni troppo religiose, mettendo in risalto l’impegno di un uomo che, pur non potendo prescindere dalla sua professione di fede, intendeva restituire agli uomini quella dignità e quel rispetto che la società omertosa della mafia gli avevano strappato.
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