Alessandro Zan, solo pochi mesi fa, ha riproposto il disegno di legge che porta il suo nome e che, neanche tre anni fa, era stato approvato dalla Camera, ma poi accantonato dal Senato. Questa volta, il testo che ha presentato è molto simile ma non uguale al precedenti: da un lato, infatti, prevede maggiori pene per chi commette gesti omofobi, dall’altro però non presenta due articoli considerati assai controversi nella sua versione originale. Di recente, il deputato del partito democratico ha spiegato anche perché ha deciso di riprovarci a cosa pensa dell’attuale governo.
Il Ddl Zan ha creato non poco scompiglio in Italia, spaccando in tre l’opinione pubblica: da un lato c’era chi approvava completamente il testo, dall’altro chi se ne discostava del tutto, nel mezzo invece chi era favorevole, ma non al 100%, nel senso che riteneva che alcune parti fossero eccessive oppure non del tutto necessarie. Alla fine, però, a prescindere dal parere del singolo, la decisione spettava al Parlamento: se la Camera si era mostrata favorevole al disegno di legge, il Senato lo ha respinto (con tanto di applausi). Non molto tempo fa, però, Zan ci ha provato a riproporlo, anche se con alcune modifiche, e in una recente intervista ha spiegato perché.
Il Ddl Zan modificato
Alessandro Zan, deputato del partito democratico, ci ha riprovato: ha ripresentato il disegno di legge (che porta il suo nome) in Parlamento. Per capire di più dobbiamo fare un passo indietro e tornare a quasi tre anni fa ormai. All’epoca era ancora in piedi la precedente legislatura, il testo arrivò alla Camera e fu approvato (anche se solo dopo una serie di modifiche proposte da Elena Bonetti, che era la ministra per le Pari opportunità e la famiglia in carica). Sembrava una vittoria per tutti e milioni di persone stavano già iniziando a gioire, ma ci pensò il Senato a bloccare l’entusiasmo di tutti: arrivato in aula, il disegno di legge fu accantonato, dati i 154 voti a favore della richiesta di non esaminare la legge articolo per articolo. Ci hanno pensato poi le elezioni anticipate e le divisioni interne del Pd a bloccare del tutto l’iter, almeno fino a qualche mese fa.
Arriviamo a fine ottobre 2022. Ecco quindi spuntare il nuovo ddl Zan (che non è una versione 2.0 della precedente, ma è stata semplicemente rinnovata), che da un lato amplia la legge Mancino – introdotta nel 1993 per punire i crimini d’odio e dell’incitamento all’odio, che però in origine riguardava solo le discriminazioni per razza, etnia e religione, mentre con il disegno di legge si sarebbero dovute sommare anche quelle per orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, sesso e genere – e dall’altro rinuncia a due articoli assai controversi, che probabilmente illo tempore furono considerati i più problematici.
Il nuovo testo, quindi, prevede la possibilità di reclusione fino a quattro anni per tutti coloro che istigano a commettere violenze di qualsiasi tipo di stampo omofobo. Allo stesso tempo, però, taglia il primo e il quarto articolo, rispettivamente riguardanti le definizioni e la clausola per la libertà di opinione.
Il primo articolo recitava così: “1. Ai fini della presente legge: a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico; b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dal l’aver concluso un percorso di transizione”. Quello che in sostanza Zan voleva fare era specificare di cosa poi parlassero i successivi, considerando che i termini discussi erano conosciuti sì, ma spesso erano usati anche impropriamente. Uno di questi nello specifico, però, e cioè “identità di genere” all’epoca fu duramente criticato dalla Lega in primis e da Italia Viva poi, nel momento del passaggio al Senato.
Eppure su questo tema c’era poco da discutere, perché volendo guardare nel passato giuridico, troviamo subito una sentenza della Corte costituzionale – parliamo della 221 del 2015 – che definiva l’identità di genere “elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona”. E non solo, perché questo termine è esplicitamente specificato nella Convenzione di Istanbul – chiamata anche Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica – che l’Italia ha ratificato già anni fa (e tra i voti favorevoli comparivano proprio quelli di Lega e Forza Italia).
Il quarto articolo, invece, recitava così: “Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. E su questo c’è poco da aggiungere, perché era chiarissimo, ma a quanto pare non era “piaciuto” a tutti.
La domanda è adesso questa: perché Alessandro Zan ha ripresentato di nuovo il disegno di legge? Lo ha detto lui stesso a FanPage.it.
Le parole del deputato
“Questo governo non approverà mai una norma, a meno che non sia obbligato dall’Europa, per i diritti civili”: così ha esordito lo stesso Alessandro Zan nell’intervista con FanPage.it. Sembra, infatti, che il deputato fosse più che consapevole del fatto che il disegno di legge non sarebbe stato approvato, eppure ci ha provato lo stesso.
E ha poi aggiunto: “In questo Paese i diritti civili non sono patrimonio comune. In Italia la destra sulle minoranze fa passare a livello subliminale messaggi di omofobia o razzismo”. E a questo proposito il timore attualmente, con il nuovo Governo, incalza. Zan teme, infatti, che non solo non verranno fatti passi avanti, ma che addirittura se ne potrebbe fare qualcuno indietro: “Hanno cominciato con il tema dei migranti, ma quando vedranno che il tema dell’economia non riescono a gestirlo allora cercheranno un altro tema di distrazione di massa. Ovviamente spero di no, ma temo che si sposteranno con un accanimento proprio sui diritti civili”.
Secondo il deputato, dopo il (tristissimo) applauso in Senato della destra dopo che il Ddl Zan era stato affossato, un’ondata di odio da parte degli omofobi è arrivata, spazzando via tutti i progressi che erano stati fatti fino a quel momento in questo senso. Da allora, quindi, alcuni di loro si sono sentiti quasi “legittimati nel compiere gesti di discriminazione”, sentendosi verosimilmente appoggiati dallo stesso Parlamento italiano e questa è stata una grande sconfitta sicuramente per tutto il Paese, che proprio adesso avrebbe bisogno di una scossa che però, stando sempre alle parole di Zan, difficilmente arriverà. Come lui stesso ha affermato, infatti: “Una leader donna che si vergogna di essere donna, perché Giorgia Meloni si fa chiamare al maschile, francamente è una sconfitta per tutti. Io, da uomo gay, sostenevo una leadership femminile che fosse però anche femminista. Perché se sei donna, ma fai delle politiche etero-patriarcali, che senso ha?”.
Ecco perché proprio adesso la sinistra deve puntare sui temi dell’inclusione: i diritti civili dovrebbero diventare, sempre secondo il deputato, uno dei pilastri del Pd, una delle fondamenta su cui mettere delle nuove basi che dovranno essere comunque più solide delle precedenti. E verosimilmente è proprio questo che lo ha spinto a ripresentare il Ddl: la consapevolezza che finché nessuno si muoverà, nulla potrà cambiare e gli omofobi continueranno sempre ad agire come stanno facendo.
Secondo Zan, infatti, questo “deve essere un momento di grande discussione sui temi, sui progetti futuri e sulla visione che dobbiamo avere del Paese. Di una sinistra che non si vergogna a essere sinistra e che non tentenna. I cittadini devono riconoscere un progetto chiaro di una sinistra moderna e contemporanea, per il bene del Paese”.