Secondo quanto emerso dalla perizia disposta dal gip di Milano, il dottor Fabrizio Filice, nel biberon di Diana Pifferi, la bimba di quasi 18 mesi lasciata morire di stenti lo scorso luglio nel milanese, non c’erano tracce di benzodiazepine.
Un elemento che, secondo gli avvocati di Alessia Pifferi, Luca D’Auria e Solange Marchignoli, escluderebbe non solo la premeditazione, ma anche l’accusa di omicidio volontario. Difficile ritenere verosimile una tale ricostruzione.
Il fatto che non siano state rintracciate benzodiazepine nel biberon rivenuto accanto alla piccola non sposta niente in termini di responsabilità. In questo senso, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, non è possibile qualificare solamente come abbandono l’aver condannato a morte una bambina di appena 18 mesi, lasciandola a sé stessa e al caldo torrido di mezza estate. Non ci sono dubbi, infatti, all’avviso di chi scrive, sul fatto che Alessia Pifferi abbia consapevolmente e deliberatamente ucciso sua figlia lasciandola morire di sete e di fame. Nessuna parvenza di istinto materno quando è partita con il nuovo compagno per Leffe.
Era il 14 luglio del 2022 il giorno nel quale ha lucidamente deciso, per sempre, che non si sarebbe più occupata della piccola Diana. Di per sé l’uccisione di un figlio da parte di una madre lascia attoniti e smarriti. Ma in questo caso siamo in presenza di una vicenda sconcertante, nella quale si aggiungono dettagli e contingenze ancor più drammatiche. Come può una madre abbandonare una bambina in fasce per una settimana solamente per soddisfare i propri bisogni amorosi? Alessia Pifferi non poteva non sapere che la sua bimba sarebbe potuta morire. Non poteva non rappresentarsi una simile conseguenza rispetto alla scelta scellerata di abbandonarla in un simile contesto.
Difatti, mentre il cuore di Diana cessava di battere, sconfitto dalla fame e dalla disidratazione, lei era a casa del suo compagno. Rivelando così un’innaturale pacatezza nel condannare a morte la figlia. Senza la benché minima esitazione. A prescindere dal fatto che non abbia utilizzato benzodiazepine per sedarla. Il suo unico desiderio era quello di rifarsi una vita passando da un uomo all’altro. Per tale ragione si è completamente dimenticata di ricoprire il ruolo di madre. Nella sua visione distorta, probabilmente, la figlia non aveva fatto altro che rovinarle l’esistenza costringendola a vivere come invece avrebbe voluto fare. Una madre non curante, quindi, che è stata capace persino di normalizzare l’omicidio del quale si è macchiata. E lo ha fatto anche davanti ai magistrati che l’hanno interrogata. “Sapevo che sarebbe potuto accadere”. Aveva dichiarato al momento del fatto.
Diana era per lei solamente un ostacolo rispetto alla vita che credeva di meritare. Una vita fatta di relazioni fugaci ed occasionali. Con uomini forse capaci di colmare la profonda solitudine che l’ha sempre pervasa.
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