La svolta nell’intricato giallo relativo alla morte di Alice Neri sembra essere arrivata lo scorso venerdì, quando le attenzioni degli inquirenti sono state catalizzate da un ventinovenne di origini tunisine, irregolare sul suolo italiano e afflitto da tempo da un decreto di espulsione.
Dell’uomo, Mohamed Gaalouk, si erano perse le tracce dallo scorso 18 novembre, il giorno dopo l’omicidio di Alice. Il giovane si era sposato poco tempo prima dell’omicidio con una donna che, sentita da alcuni quotidiani locali, ha affermato che il marito è innocente e decisamente estraneo ai fatti. Ma non solo. Ha sostenuto con fermezza che i due non si conoscessero, nonostante gli investigatori siano di tutt’altro avviso. Da quanto trapela dalle indagini, infatti, Alice e Mohamed sembravano conoscersi da un anno e mezzo. L’uomo, insieme a Nicholas Negini, marito di Alice, ed al collega di lavoro, è indagato per omicidio e distruzione di cadavere. Intanto, nei confronti del tunisino, che oggi si troverebbe in Svizzera, è stato emesso un mandato di cattura europeo.
C’è un dato che dal punto di vista criminologico rende altamente probabile il fatto che Alice ed il suo assassino si conoscessero: dopo averla uccisa, il suo carnefice le ha dato fuoco.
Non è infatti stato solamente un tentativo di cancellare le tracce, l’uomo si è dato alla fuga ben consapevole che poteva essere stato immortalato dalle telecamere. E ciò perché le stesse erano apposte in zona ben visibile, come da normativa.
Un elemento incontrovertibile. L’assassino ha scelto di distruggere la vita della donna che ha osato opporsi ad un suo volere. Qualunque esso fosse. Una totale disumanizzazione del prossimo. Ha voluto annientare l’identità di Alice, distruggendola non solamente nel fisico, ma anche nell’anima.
L’ha resa un bersaglio di sentimenti ossessivi e distruttivi. L’azione di dare fuoco, infatti, non è mai un gesto inconsulto, ma è un progetto eseguito lucidamente ed è quasi sempre sinonimo di un legame conoscitivo pregresso tra vittima e carnefice.
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