Il secondo covo di Matteo Messina Denaro è un vero e proprio bunker fatto costruire dal boss all’interno di un’abitazione.
I finanzieri del Gruppo di Investigazione sulla Criminalità Organizzata lo hanno perlustrato a fondo. Secondo quanto emerso dalle indagini, si tratta solo di uno dei tanti nascondigli utilizzati durante la latitanza, ben nascosto dietro a un armadio.
Pochi giorni fa è stato scoperto il secondo nascondiglio di Matteo Messina Denaro, non lontano dall’abitazione principale che utilizzava a Campobello di Mazara, nel Trapanese.
Possiamo parlare di un bunker, progettato come vediamo nei film, infatti per accedervi, data la posizione ben nascosta dietro a un armadio, era sufficiente far scorrere una parete di legno e quindi accedere alla stanza blindata.
Nel piccolo paesino il superlatitante ha trascorso parte della sua latitanza, soprattutto quella degli ultimi anni in cui si è dovuto sottoporre alle cure per la forma severa di grave cancro al colon da cui è affetto.
Questo secondo covo si trova in via Maggiore Toselli, poco distante dal primo in vicolo San Vito. Appartiene a una seconda persona, ovvero uno dei tanti prestanome del boss, Errico Risalvato, indagato e poi assolto nel 2001 dall’accusa di associazione mafiosa.
Da sempre gli inquirenti hanno ipotizzato l’esistenza di più nascondigli e per trovare questo è stata fondamentale l’analisi di alcuni dati del catasto. Non è chiaro se in questo luogo Matteo Messina Denaro nascondeva soldi e documenti ma considerata la conformazione, potrebbe esserci materiale più importante rispetto a quello trovato nel primo appartamento di proprietà dell’altro prestanome, il geometra Andrea Bonafede, nipote di un boss.
Al momento sono emersi tre covi, individuati dai Carabinieri del Ros che stanno coadiuvando l’operazione insieme ai finanzieri del Gico. Sono molte le immagini che circolano in merito, come appunto quelle del bunker che mostrano gioielli, pietre preziose e quadri ma anche molti scatoloni vuoti e documenti vari.
Proseguono le indagini per cercare elementi utili a ricostruire gli anni di latitanza ma soprattutto chi gli ha assicurato protezione.
Le indagini hanno coinvolto anche terze persone, ad esempio l’oncologo che lo aveva in cura ma anche la famiglia del prestanome numero 1, Bonafede.
La casa della madre è stata perquisita a fondo, così come quella di un avvocato e altre che sono riconducibili a persone vicine a Messina Denaro.
Incastrato dalla sua malattia che richiede cure chemioterapiche, che seguirà dal carcere dal momento che le sue condizioni sono state giudicate compatibili con la reclusione, Messina Denaro era paziente sotto falsa identità della clinica palermitana La Maddalena.
Dopo 30 anni di latitanza è stato arrestato il 16 gennaio scorso dopo anni in cui gli è stata fatta terra bruciata attorno e ora ci si concentra anche sui suoi familiari, molti dei quali avrebbero avuto degli incontri con lui durante la latitanza.
Termina un capitolo importante della storia della malavita italiana, con l’arresto di quello che è considerato l’ultimo grande boss di Cosa Nostra, erede di Provenzano e Riina, con cui aveva intrattenuto buoni rapporti.
Anche dai suoi nascondigli, che per ora risultano essere 3, dirigeva le file della mafia di Castelvetrano, paese dove è nato nel 1962 e che è stato il primo a dissociarsi da questa vicenda, felice che finalmente venga associato ad altro e non solo alla mafia.
Le indagini tuttavia sono solo all’inizio e come vediamo, ogni giorno emergono nuovi dettagli che costruiscono un’attività di latitanza ben strutturata ma delineano anche un uomo stanco di fuggire e che in effetti, forze provato dal cancro, si è consegnato in modo pacifico alle forze dell’ordine.
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