L’Alto Adige rischia di sprecare una potenziale grossa risorsa: il bilinguismo. Gli studenti sudtirolesi, infatti, non sono più bilingue. Solo un alunno tedesco su cinque, infatti, sa farsi capire in italiano, così come gli studenti italiani conoscono il tedesco a livello solo elementare.
Questo si evince dalla seconda edizione dello studio Kolipsi dell’Eurac, centro di ricerca applicata privato sito a Bolzano, realizzato dalle linguiste Andrea Abel e Chiara Vettori, e basato su test effettuati su 1700 alunni, circa la metà delle scuole superiori del territorio, nell’anno scolastico 2014-15.
“Il sistema altoatesino garantisce spazi in cui i gruppi sono tutelati nel mantenimento della propria lingua, ma non ne promuove l’incontro, finendo con il creare dei mondi paralleli, due realtà separate da mura invisibili”: è questo il problema, spiegano le studiose al Fatto Quotidiano. E così il bilinguismo, che potrebbe essere una enorme risorsa nel campo professionale, resta un miraggio per i giovani altoatesini, rimasti ancorati alla loro lingua di origine.
Solo un quinto dei sudtirolesi di origine tedesca parla l’italiano, e i compagni di origine italiana il tedesco lo masticano a malapena. “Le competenze si attestano in prevalenza a un livello elementare”, affermano le linguiste, con il risultato che per gli studenti “non è possibile partecipare attivamente a una discussione in tedesco su temi quotidiani”. Rispetto a sette anni fa, emerge che “le competenze nella seconda lingua degli studenti altoatesini sono notevolmente peggiorate”, è scritto nelle conclusioni dello studio.
Di chi è la colpa? Non della pigrizia o del disinteresse degli alunni, ma di un sistema che, grazie allo statuto speciale, mantiene le scuole separate, ostacolando di fatto l’incontro tra la minoranza tedesca e quella italiana. Per buona pace del bilinguismo. “Il nostro studio dimostra che è necessario ampliare la rilevanza quotidiana della seconda lingua – conclude Andrea Abel –. Si tratta di stimolare i contatti con i coetanei, usare la lingua, trovare il coraggio di buttarsi e cercare di capire con interesse ed entusiasmo la lingua dell’altro. La responsabilità spetta alla scuola, ma in egual misura anche alla politica, alle famiglie e ai giovani stessi”.
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