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Amazon, migliaia di dipendenti licenziati per “colpa” di Alexa

Amazon sta per licenziare migliaia di dipendenti a causa di Alexa, che non viene usata come Jeff Bezos sperava e che quindi non sta portando all’azienda gli introiti sperati. A essere a rischio sono soprattutto gli impiegati nei settori delle risorse umane, del commercio al dettaglio e dei dispositivi elettronici. 

Amazon – Nanopress

Quello che sta accadendo ad Amazon, come si pensa, potrebbe essere il risultato diretto di quello che sta accadendo a tutto il settore tecnologico mondiale, che attualmente non sta vivendo uno dei suoi migliori periodi. Diecimila dipendenti quindi sembrano essere destinati a essere licenziati a causa di Alexa, il dispositivo vocale lanciato dall’azienda anni fa.

Amazon in crisi a causa di Alexa

I dipendenti Amazon sono a rischio per colpa di Alexa. Ebbene sì, l’assistente virtuale che dovrebbe semplificarci la vita, in realtà la sta complicando ad alcuni lavoratori dell’azienda da cui proviene. Nello specifico, a essere licenziati saranno circa diecimila dipendenti, di cui la maggior parte è impiegata nei settori delle risorse umane, del commercio al dettaglio e dei dispositivi elettronici. Quest’ultima riguarda in sostanza alcuni prodotti per la casa, tra cui “Echo”, una linea di apparecchi nati al fine di ascoltare le richieste degli utenti e soddisfarle come può.

Ma perché sta accadendo tutto ciò? In sostanza, pare che i vertici Amazon si siano resi conto che Alexa non sta funzionando come pensavano, speravano e si aspettavano, ma che viene utilizzata in modo del tutto errato. Da qui, nell’ottica di un rifacimento generale del servizio, derivano licenziamenti e tagli alle spese, che dovrebbero riguardare il 3% della forza lavoro dell’azienda.

Originariamente l’idea di Jeff Bezos, il fondatore dell’intera azienda, era liberamente ispirata a Star Trek e, nello specifico, al computer di bordo dell’astronave Enterprise. Guardando questo dispositivo, chiese ai suoi ingegneri di realizzare qualcosa che fosse capace di sfruttare al meglio Amazon Web Services, il cloud aziendale.

Come riporta Brad Stone, autore di Amazon Unbound: Jeff Bezos and the Invention of a Global Empire, inizialmente il “padre” di Amazon avrebbe voluto dare vita a un apparecchio da 20 dollari il cui cervello sarebbe dipeso completamente dal cloud e che sarebbe vissuto semplicemente seguendo la voce umana. In origine, quindi, Alexa (che all’epoca ovviamente non si chiamava ancora così) doveva costare poco e doveva semplicemente interagire con i server di Amazon.

Alexa – Nanopress

Poi però negli anni qualcosa è andato storto e il suo utilizzo non è stato esattamente quello che Bezos si sarebbe aspettato.

Ecco cosa sta accadendo

Come riporta il New York Times, quello che è accaduto ad Amazon rispecchia esattamente ciò che sta accadendo all’intero settore tecnologico statunitense, attualmente in ginocchio (in un certo senso). Business Insider ha riportato un report estremamente dettagliato in cui si evince che attualmente Worldwide Digital, la divisione che comprende Alexa, è in perdita e parliamo di cifre altissime (più di tre miliardi di dollari solo nei primi tre mesi del 2022). Sempre Business Insider, inoltre, ha parlato con alcuni dipendenti, che hanno parlato addirittura di “un colossale fallimento a livello di immaginazione”.

Cos’è accaduto in sostanza? La succitata divisione non ha trovato un modo per monetizzare, dando così vita a perdite che si attestano – dati dello scorso anno alla mano – sui dieci miliardi di dollari. Attenzione però: Echo non è stato un flop come si potrebbe immaginare leggendo questi dati. Anzi, questi sono tra i più venduti in assoluto su Amazon, ma il problema è che quello proposto ai clienti è il prezzo di costo, alla luce del fatto che l’azienda guadagna soprattutto grazie alle spese che i clienti fanno attraverso Alexa.

Parlando di numeri, sempre stando al report il dispositivo, durante il suo quarto anno di vita, ha ricevuto in media un miliardo di interazioni alla settimana, ma nella maggior parte dei casi i clienti chiedevano informazioni, che logicamente non sono monetizzabili perché non riguardano la vendita di beni e servizi. Questo probabilmente è riconducibile al fatto che molte persone sono ancora diffidenti nei confronti degli assistenti vocali e che quindi hanno paura di chiedere loro di svolgere compiti più complessi (come fare acquisti online ad esempio).

A questo si aggiunge che gli assistenti vocali sono tecnicamente limitati, cosa che secondo Gary Marcus, esperto di machine learning, è dovuta soprattutto a rischi legali che ne limitano l’evoluzione. Alexa, però, potrebbe puntare sul modello linguistico generativo GPT-3, che crea immagini basate su testi, ma in questo modo Amazon correrebbe rischi di gran lunga superiori perché diventerebbe così meno controllabile, potrebbe commettere più errori e in questo modo moltissime persone smetterebbero di utilizzarlo, quindi a oggi per l’azienda è più conveniente poter usare il dispositivo per poche cose, ma sicure che per tante, ma troppo complesse.

E non finisce qui, perché si dice che ci sarebbero problematiche interne ad Amazon, come l’assenza di una direzione precisa nel settore innovativo. A dimostrazione che qualcosa non sta funzionando come dovrebbe, il suo assistente vocale a oggi arriva a 71,6 milioni di utenti, dato che lo colloca dietro Siri (con 77,6 milioni) e Google (con 81,5 milioni). Questo nonostante anche quest’ultima azienda sia stata costretta ad effettuare tagli interni nel settore, mentre Apple ha visto fallire HomePod, la cassa Bluetooth collegata a Siri.

Anna Gaia Cavallo

Mi chiamo Anna Gaia Cavallo, ho 30 anni, sono nata a Salerno e lì ho vissuto fino ai miei 18 anni. Poi il viaggio verso Siena per l'università, la laurea in economia e gestione d'impresa e poi il ritorno nella mia città natale. Qui, dopo un anno di lavoro nel settore economico, ho capito che non era questa la strada giusta per me e ho deciso di seguire quella che era sempre stata la mia più grande passione fin da piccola: la scrittura. A quel punto ho lasciato tutto quello che avevo costruito nei sei anni precedenti e ho intrapreso un altro percorso, quello che mi ha portato a diventare giornalista. Iscritta all'albo dei pubblicisti della Campania dal 2019, dopo aver attraversato diversi mondi, sono approdata sul pianeta Nanopress nel 2022 come editor e qui amo occuparmi di cronaca e attualità, ma quando mi capita di scrivere di musica raggiungo il massimo del piacere.

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