Ci sono Paesi del mondo in cui il coraggio e la coerenza delle proprie idee si paga con la vita. In nome dell’ecologia e del futuro del pianeta, sono tanti gli ambientalisti uccisi nel 2016, e il calcolo è ancora necessariamente provvisorio, mentre già sappiamo con certezza quanti ne sono morti lo scorso anno: 185 gli attivisti trucidati nel 2015, come certifica un report shock di Global Witness, spiegando come negli ultimi due anni le vittime di omicidi ambientali siano cresciute del 60 per cento, spesso per nome e per conto del Potere, che preferisce affogare nel sangue chi disturba la folle rincorsa alle materie prime, chi cerca di salvaguardare foreste, fiumi, territori, dall’attività selvaggia dell’uomo. Un uomo sempre incurante dei rischi derivanti da uno sfruttamento intensivo delle risorse, che non arretra nemmeno di fronte all’evidenza dei cambiamenti climatici in corso sulla Terra.
Secondo il report della ong Global Witness ci sono Paesi che più di altri si macchiano di crimini così efferati: in testa alle nazioni più pericolose c’è il Brasile, con 207 ecologisti assassinati tra il 2010 e il 2015, tra cui Edwin Chota o l’indigeno Eusebio, che hanno cercato di preservare la foresta amazzonica dallo scempio dell’uomo. Il Sudamerica risulta essere in generale estremamente pericoloso per gli ecologisti, come dimostra il terzo posto della Colombia e il quarto del Perù, mentre il secondo posto è occupato dalle Filippine. Diamo ora un’occhiata più da vicino agli ambientalisti uccisi nel 2016.
Berta Caceres
L’omicidio di Berta Caceres nel mese di marzo ha fatto molto rumore non soltanto in Honduras: quella di Berta è stata infatti una vita dedicata alla tutela dell’ambiente e del diritto delle popolazioni indigene a vivere nella loro terra, battendosi a viso aperto contro le multinazionali. Berta, che aveva ottenuto nel 2015 il Premio Goldman, considerato il massimo riconoscimento internazionale per le lotte ecologiste, per la sua mobilitazione contro la diga Agua Zarca che avrebbe messo a rischio l’approvvigionamento di acqua ed alimenti per gli indigeni lenca, è stata ritrovata senza vita nella sua casa di La Esperanza, un nome che pare purtroppo un amaro paradosso in un Paese come l’Honduras, dove sono oltre cento gli attivisti assassinati tra il 2010 e il 2015. Per la sua morte sono state arrestate 4 persone, tra cui un responsabile della diga e un maggiore dell’esercito.
Lesbia Janeth Urquía
Sempre l’Honduras si è macchiato di un atroce delitto di un ambientalista in questo 2016: una morte orribile ha posto fine alla vita di Lesbia Janeth Urquía, uccisa con un colpo di machete alla testa, e il suo corpo gettato in una discarica. Madre di tre figli, 49 anni, Lesbia apparteneva al Consiglio delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras (Copinh), un’organizzazione non governativa fondata dalla sopracitata Berta Caceres, ed anche lei si stava battendo contro la costruzione di alcune dighe, tra cui una a San Josè, dietro la cui costruzione ci sarebbero la presidente del Partito del Congresso Nazionale, Gladys Aurora Lopez, e suo marito. Attivisti appartenenti al gruppo di Lesbia non esitano a definire quanto accaduto un omicidio politico.
Gloria Capitan
Il 1 luglio 2016 è stata ritrovata morta Gloria Capitan, e questa il teatro della tragedia sono state le Filippine: la donna si stava battendo contro la costruzione di una centrale a carbone, ed è stata uccisa con dei colpi di pistola da due killer mentre si trovava nel suo bar a Mariveles, nell’isola di Bataan. Anche qui i media locali sono certi della natura politica dell’omicidio, direttamente legata alle sue attività anti-carbone, sebbene ad oggi non sia stato eseguito nessun arresto per la sua morte. Le Filippine con i suoi 33 morti nel solo 2015, rappresenta uno dei luoghi più pericolosi del pianeta per un ambientalista, ma nonostante ciò, tanti uomini e soprattutto donne continuano a battersi senza sosta affinché il Paese possa essere preservato dall’avida ingordigia degli speculatori.
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