Ammazziamo il gattopardo di Alan Friedman è il libro che più ha fatto discutere nelle prime settimane del 2014: ecco la nostra recensione. Nel volume, il giornalista (già volto televisivo della Rai e di Sky) prova ad analizzare i motivi per cui l’Italia sta affrontando la crisi peggiore degli ultimi trent’anni: una crisi sia economica che politica, le cui origini evidentemente non possono essere attribuite unicamente all’austerity imposta dalla Germania e dall’Europa, e tantomeno all’euro.
Ammazziamo il gattopardo (il cui titolo è naturalmente ispirato al romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa) ha dettato l’agenda per diversi giorni all’inizio dell’anno, complice lo stillicidio di anticipazioni fornite dalla stampa (e in particolare dal Corriere della Sera).
Purtroppo per Friedman, il libro è stato superato dagli eventi, nel senso che, mentre si discuteva delle interviste concesse al giornalista da Mario Monti, Giuliano Amato, Silvio Berlusconi, Romano Prodi e Massimo D’Alema, Matteo Renzi è diventato Presidente del Consiglio al posto di Enrico Letta: di conseguenza, tutte le succose (ma erano poi così inattese?) notizie contenute in Ammazziamo il gattopardo sono state messe da parte.
Nel saggio, il giornalista ricostruisce gli ultimi tre decenni della storia economica e politica del Paese: un libro alla Vespa, insomma, con contributi dei protagonisti diretti degli eventi raccontati, e qualche retroscena svelato. Ha fatto scalpore, in particolare, la pubblicazione dei dettagli della telefonata intercorsa tra Giorgio Napolitano e Mario Monti nel luglio del 2011, quando il Presidente della Repubblica intendeva valutare la disponibilità del professore all’assunzione di un incarico di governo.
Ciò che rende interessante Ammazziamo il gattopardo, al di là di un certo interesse quasi morboso per lo scoop e la voglia di cercare la notizia di effetto a tutti i costi, è la presenza di contraddizioni svelate, di resoconti da parte dei protagonisti che contrastano l’uno con l’altro. A dimostrazione di come la vita politica, sociale ed economica del nostro Paese non sia lineare o trasparente.
Ma c’era bisogno che a dircelo fosse un giornalista straniero? Quel che molti analisti e critici hanno rimproverato a Friedman è, in effetti, una certa presunzione, l’aver trattato l’Italia come un bambino discolo che ha bisogno di essere rieducato. Se questo sia un problema attribuibile all’autore del libro o all’oggetto del libro, spetta ai lettori deciderlo.