I dati del rapporto della organizzazione di volontariato aiutano a orientarci per uscire dal campo delle opinioni portandoci in quello dei fatti. Su decine di migliaia di contenuti analizzati da Amnesty, il 9 per cento cade nel campo dei discorsi d’odio. A proferirli sono i politici della coalizione al governo.
Da Amnesty International una ricerca che analizza quanto e come “hate speech” significhi oggi anche comunicazione politica e non solo bullismo, soprattutto online. Ma quale è l’orientamento di tale politica?
La coalizione di centrodestra primeggia nella classifica stilata dalla ONG, ma in fin dei conti non è proprio una notizia quando pensiamo al “carico residuale” dei migranti o alle “umiliazioni” degli studenti a cui ci hanno abituati i politici della Casa delle Libertà.
Il rapporto “barometro dell’odio” analizza i post di 85 politici di tutti gli schieramenti, e lo fa pescando fra i candidati ai seggi uninominali e tra i capolista dei seggi uninominali.
Il periodo preso in considerazione nella ricerca va da agosto a settembre 2022. È il caldo estivo e infinito, in sole cinque settimane i futuri onorevoli si scaldano per il voto. Tutti affilano le armi del logos. Ma in tanti casi il logos ha ben poco di quel sentimento cristiano in voga fra la destra radicale che, come è noto, fa un uso scriteriato di simboli e riferimenti religiosi.
Su Facebook e Twitter circola l’odio dei politici
I campi di battaglia oggetto della ricerca di Amnesty International si presentano separati: Facebook e Twitter. In totale vengono analizzati dagli attivisti ben 28.232 contenuti pubblicati su entrambe le piattaforme citate. I dati porteranno a una panoramica chiara sullo stato del discorso politico online.
I post e i tweet, infatti, vengono catalogati in base a dei criteri ben definiti: il tema, l’accezione, il grado di problematicità, la tipologia di bersaglio e l’ambito di riferimento dell’odio. Sì, anche l’odio ha le sue declinazioni, siano esse razziste o sessiste. Durante la ricerca in cinquanta fra attivisti di Amnesty e analisti dei dati online si mettono al monitor per scrutare il web e traggono conclusioni indubbie.
Il risultato mostra come la politica si serva di stereotipi e pregiudizi sul web. E di come rappresenti i fatti in maniera falsa oppure fuorviante, usando un linguaggio “ostile”, spesso e purtroppo normalizzato. La politica, poi, crea narrazioni online attraverso storie individuali scovate qua è là, e notizie sia superficiali che atte a suscitare indignazione. La creazione del nemico è un evergreen. E c’è sempre un nemico nuovo e pronto da mettere alla gogna. Tutto, anche l’odio, è utile alla creazione del consenso.
Uno dei tweet più emblematici della storia dell’odio online è quello di Matteo Salvini. Nel 2017 pubblicò un video di una donna rom che frugava in un cassonetto e vi rimase incastrata all’interno.
Io sto con i LAVORATORI (a cui offriamo sostegno legale) e non con le #ROM "FRUGATRICI".
Ma quanto urla questa disgraziata??? #Lidl #ruspa pic.twitter.com/3hUrZRzqdq— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) February 24, 2017
Il tweet del ministro Salvini suscitò numerosi report degli utenti alla piattaforma, oggi proprietà di Elon Musk. È una strana coincidenza, anche il celebre miliardario è nel centro del mirino per l’amnistia su Twitter degli account che vennero bannati prima del suo arrivo, uno su tutti quello di Donald Trump.
Il linguaggio d’odio, tornando al caso della donna rom, colpisce spesso le minoranze. Fra le categorie più toccate dal fenomeno oggetto della ricerca, ci sono anche le persone con un background migratorio (56 per cento dei contenuti analizzati nella ricerca), la comunità musulmana (54 per cento), la comunità Lgbtqia+ e le persone in svantaggio economico (17 per cento).
Una piccola ma buona notizia: il 58 per cento di tweet e post analizzati, però, è dedicato al mondo della solidarietà. Continuando con i dati in valori percentuali, tuttavia, nove contenuti su cento fra quelli analizzati sono discriminatori.
I discorsi “problematici” in testa i leader
Sul totale dei contenuti della coalizione del centrodestra, il 9 per cento sono considerati contenuti “problematici”. Il 6 per cento tocca a Italia Viva e il 4 per cento alla coalizione del centrosinistra, infine il 3 per cento al Movimento 5 stelle.
Il 16 per cento dei contenuti più problematici provengono dalla attuale premier, Giorgia Meloni. Il ministro Matteo Salvini (anche lui era soltanto candidato all’epoca dell’analisi in oggetto) domina la classifica con il 18 per cento di contenuti più problematici. Il terzo posto va a Carlo Calenda (9 per cento), che fa però meglio di Silvio Berlusconi (5 per cento). Nelle percentuali prossime alle zero troviamo l’ex premier Giuseppe Conte (2 per cento) e il più parco è Enrico Letta (1 per cento). Nicola Fratoianni, comunque molto attivo online, si aggiudica il 4 per cento di contenuti “problematici”.
Dove sbagliano a scrivere in modo volontario, o involontario, i nostri politici? La metà di loro si esprime in modo problematico sull’immigrazione, mentre il 36 per cento sbaglia sulle minoranze religiose. Le modalità d’indirizzo dell’odio, un po’ come ai tempi del fascismo, non sembrano cambiate affatto: il 35 per cento dei politici, ancora, sbaglia a esprimersi sui rom.
A scanso di equivoci Amnesty definisce il confine con cui si traccia la sottile linea fra libertà di espressione e parole d’odio, e qui tralasciamo il campo di pertinenza ai crimini veri e proprio d’odio.
Il rapporto spiega come una foto con un gruppo di migranti e l’enunciato associato del genere: “Ci stanno invadendo, per fermarli serve la forza”, vanno definiti hate speech. “Il discrimine – spiega il rapporto – è proibire espressioni di incitamento all’estremismo che rischiano di promuovere discriminazione, odio, violenza o segregazione”.
Ecco inoltre la definizione di hate speech prodotta a suo tempo dalla Commissione europea contro il Razzismo e l’Intolleranza:
“Si intende per discorso dell’odio il fatto di fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, nonché il fatto di sottoporre a soprusi, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce una persona o un gruppo e la giustificazione di tutte queste forme o espressioni di odio testé citate, sulla base della “razza”, del colore della pelle, dell’ascendenza, dell’origine nazionale o etnica, dell’età, dell’handicap, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e di altre caratteristiche o stato personale”.
Fra i politici che hanno pubblicato più contenuti che incitano all’odio, citati nel rapporto di Amnesty, ci sono Matteo Salvini, Manfredi Potenti, Lucio Milan, Edoardo Rixi e Severino Nappi. Ma c’è anche chi attacca gli altri politici come Claudio Borghi oppure Carlo Calenda. E c’è chi, fra l’elettorato attivo, condivide e alimenta l’odio commentando con ulteriori contenuti dello stesso tipo. Purtroppo, l’unione fa la forza.