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“La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. Così scriveva Giovanni Falcone in ‘Cose di Cosa Nostra’, il libro scritto a quattro mani con la giornalista Marcelle Padovani. E probabilmente proprio questa convinzione, ovvero quella di poter un giorno sconfiggere quel cancro che attanaglia la Sicilia e tutta l’Italia, è stata l’input che ha portato Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Giuseppe Montana e i molti altri che hanno perseguito la lotta alla criminalità anche a costo della vita a proseguire nel loro lavoro.
Nessuno, infatti, troverebbe la forza e neanche il coraggio di continuare una lotta così aspra e dura come quella al crimine organizzato se non vi fosse da qualche parte la possibilità di ravvisare una speranza, se non almeno una possibilità, di riuscire a vincere, ad avere la meglio.
“È tutto teatro. Quando la mafia lo deciderà, mi ammazzerà lo stesso”. Proseguiva, però, lo stesso Falcone, dimostrando di fatto di essere consapevole che prima o poi avrebbe pagato con la vita la sua battaglia. La speranza di vincere sulla mafia non coincideva infatti con la speranza di sopravvivenza, bensì con quella di riuscire a gettare le basi perché mai più nessuno avrebbe creduto che la mafia fosse invincibile: nemmeno dopo Capaci o Via D’Amelio.
Oggi, al contrario, la lotta alla Mafia è finita, svuotata di significato e svilita di speranza. La grande vittoria dei boss è quella di essere riusciti, forse proprio con le stragi più eclatanti, a convincere innanzitutto la popolazione dell’impossibilità di vincere. E così anche la Magistratura e le forze di Polizia sono entrate in una forma di nichilismo operativo, abbandonando la lotta organizzata ai boss e concentrandosi solo sul contenimento dei reati da loro commessi.
“Oggi la mafia – avverte Andrea Camilleri – sembra in bassa fortuna perché non spara e non fa stragi. In realtà ha fatto infiltrare in molte mentalità una mentalità mafiosa, un modo di comportarsi mafioso: una solidarietà che non è genuina, è mafioso e di casta”.
Così lo scrittore siciliano ha deciso di ridare alla letteratura quella funzione esortativa che diverse volta ha avuto nel corso della storia e raccontare agli italiani, forse con la speranza che la percepiscano soprattutto le istituzioni italiane (magistratura in primis), che la mafia si può sconfiggere, ma ovviamente solo se la si combatte.
Nel suo ultimo libro, ‘La banda Sacco’, Camilleri racconta proprio la storia di tre fratelli che negli anni Venti del Novecento liberano la città dalla mafia. L’amara conclusione, però, è che alla fine sono i Sacco a diventare banditi. “È – conclude Camilleri – la logica distorta dell’Italia: la mafia si fa Stato e chi la combatte diventa un fuorilegge”.