Il 2 febbraio 2017 corre il decimo anniversario della morte di Filippo Raciti. Dieci anni fa l’omicidio del poliziotto durante i violenti scontri scoppiati durante e dopo il derby Catania-Palermo. Una tragedia che ha lasciato un segno indelebile sul calcio italiano e stravolto il mondo del tifo negli stadi. Nonostante la sentenza definitiva del tribunale, inoltre, resta qualche ombra sul vero responsabile: è stato davvero Antonino Speziale a uccidere l’ispettore Raciti?
Tutto comincia alle 18 di venerdì 2 febbraio 2007, quando Catania e Palermo scendono in campo per la 22esima giornata di ritorno del campionato di Serie A. Non una partita come le altre: è il derby più sentito della Sicilia, nonché una partita ad alto rischio incidenti. Incidenti che scoppiano nel secondo tempo, mentre rosanero e rossoazzurri si danno battaglia in campo, all’arrivo in ritardo dei tifosi palermitani. Fuori dallo stadio Massimino cominciano i tafferugli, con gli ultras locali che tentano lo scontro. La polizia tenta di disperdere le fazioni, lanciando lacrimogeni in curva nord.
Il cuore del tifo ultras catanese che (sembra assurdo ma è così) è contiguo al settore ospiti e non dalla parte opposta. La partita viene sospesa per quaranta minuti a causa dell’aria irrespirabile. Al fischio finale, mentre i giocatori del Palermo festeggiano la vittoria per 2-1, all’esterno la situazione degenera in una guerriglia tra ultras catanesi e polizia.
Chi era Filippo Raciti?
Il bilancio è tragico e non si ferma al solito bollettino di feriti e arresti. In serata arriva la notizia della morte dell’ispettore Filippo Raciti, a causa della rottura del fegato causato da un corpo contundente. Inutile la corsa in ospedale: il poliziotto muore per arresto cardiaco, dopo 45 minuti di agonia, lasciando la moglie Marisa e due figli.
Gli arresti e le condanne
Le indagini portano all’arresto di Antonino Speziale e Daniele Micale, condannati in seguito rispettivamente a 8 e 11 anni di carcere per omicidio preterintenzionale. Secondo l’accusa l’autore materiale dell’omicidio è Speziale, all’epoca dei fatti 17enne. A incastrarlo la sua presunta dichiarazione in cui avrebbe confessato di aver partecipato agli scontri e di aver «colpito un agente con una sbarra di ferro spingendolo a mo’ di ariete». Dichiarazione fin da subito smentita dal suo avvocato, secondo cui il giovane aveva soltanto confessato di aver partecipato agli scontri. È una delle tante incongruenze del processo, che spinge i legali del ragazzo a chiedere la revisione. Il 7 febbraio 2014 il procuratore generale Luigi Riello accoglie il ricorso per la revisione, ma lo stesso viene poi rigettato dalla Corte di Cassazione, in quanto dichiarato inammissibile.
Il caso Speziale
Tanto scalpore provoca la maglietta indossata dal capo ultrà del Napoli “Genny ‘a carogna”, durante la finale di Coppia Italia del 2014 tra Napoli e Fiorentina (altra partita finita in tragedia per l’omicidio di un tifoso napoletano). La scritta “Speziale libero” (riproposta in tante altre occasioni da molti ultras) scatena indignazione e polemiche. Perché quella maglietta? In realtà gli ultras non giustificano l’omicidio di Raciti ma chiedono la libertà per Speziale in quanto lo ritengono innocente.
Una tesi molto diffusa nell’ambiente, motivata da alcune incongruenze processuali, e spiegata per bene nel libro “Il caso Speziale” dal giornalista Simone Nastasi. «Speziale non ha mai confessato, su questo non c’è stata una informazione corretta»: afferma in un’intervista Nastasi, in riferimento alla presunta dichiarazione sulla sbarra di ferro. «Il ragazzo è stato condannato in via definitiva per omicidio preterintenzionale, che per definizione implica già il fatto che non ci sia l’intenzione di uccidere. Ma non solo: chi ha letto gli atti sa che ci sono sin troppi buchi dal punto di vista investigativo. Di fatto non esiste una prova certa e inconfutabile che a uccidere Raciti sia stato Speziale».
Chi ha ucciso davvero Raciti?
Secondo chi sostiene l’innocenza di Speziale, il vero responsabile potrebbe essere stato un collega del poliziotto, che lo avrebbe investito involontariamente mentre era a bordo della jeep, nel marasma degli scontri: «Penso che si sarebbe potuto approfondire la posizione dell’autista del Discovery – incalza Nastasi – che nel primo verbale dichiara di aver fatto marcia indietro fino ad aver sentito un urto e successivamente invece cambia versione, dichiarando che quell’urto era in realtà un boato e che Raciti era distante alcune decine di metri. Insomma, ci sono tutti gli elementi per considerare il caso Speziale la storia di un clamoroso caso giudiziario». Insomma, Raciti è stato ucciso davvero da Speziale, o l’ultras non è altro che un capro espiatorio da consegnare all’opinione pubblica, per coprire un poliziotto? La sentenza del giudice ha chiuso il caso, ma è bene riportare anche questa versione. In ogni caso, se non fossero scoppiati gli scontri tra gli ultras Raciti sarebbe ancora vivo.
Com’è cambiato il calcio dopo la morte di Raciti?
La morte di Raciti ha dato il via a una vera e propria repressione nei confronti del mondo ultras. Sono state prese misure drastiche (dal divieto di introdurre negli stadi tamburi, striscioni e megafoni alle diffide, dalle trasferte vietate fino alla tessera del tifoso). Misure nate con l’obiettivo di sconfiggere la violenza negli stadi, ma che nella realtà dei fatti hanno contribuito a svuotarli, spegnendo la passione popolare e penalizzando indistintamente tutti i tifosi, senza colpire davvero i violenti.
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