Solitamente Napoli è descritta come una città all’aperto, in cui la vita degli abitanti si svolge per i vicoli, nelle strade, dove nulla era mai nascosto e segreto. E in parte era e, forse, è davvero così: il clima mite ha sempre permesso una vita collettiva all’aria aperta e, soprattutto nei quartieri più popolari, gli angusti bassi costringevano a riversarsi nelle strade per trovare un po’ d’aria. Nella stessa Napoli, quella che oggi definiremmo più storica, c’erano e ci sono eleganti palazzi la cui architettura, seppur meno nota dei bassi, risulta essere unica ed esclusiva.
Quello che succedeva e succede per i vicoli di Napoli lo hanno raccontato in tanti, ma ancora nessuno si era preso la briga di guardare al di là dei pesanti portoni di legno di quei palazzi per scrutare e raccontare i segreti, gli amori, le passioni che dovevano restare celate.
Antonio Scoppettuolo è stato il primo (e l’unico, per ora) che ha deciso di guardare Napoli allo specchio e registrare sul suo taccuino di giornalista il riflesso di quello che tutti gli altri avevano raccontato in passato. L’impressione che si ha, infatti, leggendo le prime pagine di “Specchio napoletano” (Lastaria Edizioni) è quella di scoprire un’altra Napoli ben diversa, seppur non migliore e non peggiore, di quella finora descritta, ma andando avanti a divorare le pagine si capirà che, in realtà, quella descritta da Scoppettuolo non è qualcosa di diverso da ciò che già conosciamo, bensì il suo riflesso. Il suo riflesso più intimo e personale.
Quella descritta da Scoppettutolo non è quindi la Napoli pubblica bensì quella familiare, non è quella della recita ma quella della realtà, non è quella del luogo comune ma quella oggettiva. È una Napoli che si dipana fra presente e passato e non manca qualche sorpresa, che arriva direttamente da personaggi del calibro di Fulvio Tessitore e di Luca De Filippo.
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