Nasce UNIA, l’Unione Italiana Apolidi. Quattro giovani apolidi con il supporto dell’Onu hanno fondato l’associazione per aiutare altri apolidi, invisibili agli occhi delle istituzioni.
Si stima che in Italia ci siano circa tremila persone prive di cittadinanza di qualsiasi Stato. È uno status che si trasmette di generazione in generazione e ha le radici nella dissoluzione dell’URSS e dell’ex Jugoslavia.
Iscriversi all’università per proseguire gli studi, accedere al servizio sanitario nazionale per ricevere le giuste cure mediche, firmare un contratto di lavoro, prendere la patente o un appartamento in affitto, aprire un conto in banca e persino sposarsi. Sono tutte attività che la maggior parte delle persone compie nel corso della vita, magari non tutte ma almeno una tra queste sì. Fanno parte della quotidianità e spesso si danno per scontate, eppure se si è apolidi la strada per compiere questi gesti è sbarrata.
Per aiutare le persone che versano in questa condizione è nata UNIA, l’Unione Italiana Apolidi. Si tratta della prima organizzazione in Italia formata da apolidi, sono quattro i fondatori, e dedicata agli apolidi. L’obiettivo alla base è quello di migliorare le condizioni di vita di chi si trova a vivere in Italia senza avere una cittadinanza, non quella italiana bensì di nessuno Stato. Gli apolidi, secondo la definizione che ne dà l’UNHCR, ovvero l’Agenzia Onu per i Rifugiati, sono infatti le persone a cui non è riconosciuto il diritto fondamentale alla nazionalità. Ne consegue che non è possibile per loro godere dei diritti ad essa legati.
In Italia le stime parlano di circa tremila persone che sono apolidi. Nel mondo, invece, il numero esatto è sconosciuto anche se l’Onu ne ha fatto una stima di diversi milioni, di cui circa un terzo bambini. Ad ogni modo, la neonata Unione apolidi evidenzia come sia in realtà molto complesso definire un numero esatto in quanto queste persone vivono in uno stato pressoché di invisibilità per le istituzioni.
Come si arriva a essere apolidi. La causa principale in Italia e in Europa è insita nella storia geografica del Vecchio Continente. Molti degli apolidi non hanno acquisito la cittadinanza dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e di quella dell’ex Jugoslavia. La condizione di apolidia è stata poi tramandata alle generazioni successive.
La mancanza di identità legale si tramuta così in difficoltà quotidiane notevoli che peggiorano nei casi in cui le persone siano sprovviste di documenti di identità.
Dal punto di vista della tutela delle persone apolidi però, l’Italia rispetto a altri Paesi è più virtuosa avendo ratificato le due convenzioni internazionali che riguardano questo stato. È anche tra i pochi a avere una procedura che determina lo status di apolidia. L’UNIA però evidenzia come ci sia ancora del lavoro da fare per permettere agli apolidi un effettivo godimento dei diritti della persona. L’associazione, nelle intenzioni dei fondatori, vuole facilitare il dialogo con le istituzioni rappresentando le istanze degli apolidi. Tra le azioni che verranno proposte c’è anche una riforma della procedura con cui si determina lo status di apolidia e anche uno snellimento dell’iter che porta all’ottenimento della cittadinanza italiana.
L’istituzione dell’Unione in Italia ha ricevuto il plauso e anche il supporto dell’UNHCR attraverso il programma PartecipAzione e la collaborazione di Intersos, un progetto dedicato a rifugiati e apolidi.
Le Nazioni Unite sono da tempo impegnate nella sfida di porre fine all’apolidia entro il 2024. Per farlo, nel 2014 hanno lanciato con l’Agenzia per i Rifugiati la campagna #IBelong contro l’invisibilità di chi nel mondo è privo di cittadinanza.
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