[didascalia fornitore=”ansa”]Re Salman bin Abdulaziz al-Saud e, sulla sinistra, il principe Mohammed bin Salman[/didascalia]
Che sta succedendo in Arabia Saudita? Con un blitz a sorpresa nello scorso fine settimana c’è stata una retata anticorruzione che ha visto l’arresto di molte persone potenti tra cui principi, ministri e ex ministri. A volere il provvedimento è stato il controverso principe ereditario dell’Arabia Saudita, il giovane Mohammed bin Salman. La maxi operazione anti-corruzione del leader di Riad ha però portato un terremoto finanziario nell’intera comunità internazionale, perché negli arresti è stato coinvolto anche il potentissimo principe saudita Alwaleed bin Talal, che detiene la società di investimento internazionale Kingdom Holding. Con lui è stato ‘neutralizzato’ anche l’ex ministro delle finanze saudita Ibrahim al-Assaf. In totale, alla fine in carcere sono finiti 11 principi, quattro ministri attuali e decine di ex ministri.
Come accennato in apertura, nella retata anticorruzione voluta dal giovane principe saudita alla guida di Riad, Mohammed bin Salman, è finito in manette anche Alwaleed bin Talal, uno degli uomini più ricchi al mondo che può vantare un patrimonio di 32 miliardi di dollari, ma non solo. Il principe saudita è conosciuto negli ambienti della finanza per il suo amore per il business globale. Infatti il multimiliardario è un investitore nelle grandi società quotate anche sui mercati occidentali, da Citigroup a Twitter, da Apple a News Corp e a Lyft, come ricorda IlSole24ore.
[didascalia fornitore=”ansa”]Alwaleed bin Talal[/didascalia]
CHI E’ ALWALEED BIN TALAL
Ed è stato arrestato senza troppi complimenti, il principe miliardario Alwaleed bin Talal, nonostante sia membro della casa reale e nipote di re Abdulaziz al Saud, fondatore del paese, e dell’ex primo ministro libanese Riad al Solh. La sua società di investimenti Kingdom possiede partecipazioni nell’impero mediadico News Corp di Rupert Murdoch e anche di società tecnologiche come Apple e Twitter (in cui ha versato 300 milioni di dollari nel 2011, secondo i dati del fondo saudita).
Ex socio di Mediaset, Alwaleed ha interessi che spaziano dalle imprese di comunicazione come 21st Century Fox e Time Warner a catene alberghiere di spicco come Four Seasons Hotels, Fairmount, Mövenpick e Swissotel e Plaza di New York. Inoltre Bin Talal controlla il canale televisivo di notizie, Al Arab e il gruppo Rotana, uno dei più importanti nel mondo arabo che conta dodici canali televisivi, radio, produzioni cinematografiche e pubblicazioni.
[didascalia fornitore=”ansa”]Kingdom Tower, quartier generale della Kingdom holdings del principe Alwaleed Bin Talal[/didascalia]
Questi interessi si sommano agli investimenti nei settori petrolchimico e immobiliare: sua la costruzione a Yeda della Kingdom Tower, grattacielo mira a diventare il più alto del mondo con oltre mille metri di altezza. Dopo 10 anni dalla sua creazione, alla fine del 2016, il gruppo KHC aveva un patrimonio di circa 11.439 milioni di dollari, anche se l’arresto di Alwaleed, con l’accusa di riciclaggio di denaro, è stato un duro colpo per le sue finanze. Le azioni della società sono scese del 9,9% nel mercato azionario saudita.
La nuova commissione anti-corruzione, voluta dal re Salman e gestita dal sempre più potente erede al trono, ha arrestato 11 principi, membri della sterminata famiglia reale, 4 ministri e 38 tra ex ministri, ex viceministri e uomini d’affari. Perché il principe ereditario ha messo a segno questo colpo? In una mossa straordinaria e contemporanea ha fatto fuori il businessman più forte, il capo della Guardia nazionale, uno tra i contendenti al trono di Salman, il principe Muteb bin Abdullah, poi il capo della Marina e il ministro dell’Economia, Ibrahim al-Assaf. Incarichi che sono stati tutti assegnati a persone ‘fidate’.
Ufficialmente, secondo quanto riporta il decreto reale, i fermi sono stati effettuati in risposta allo “sfruttamento di alcune delle anime deboli che hanno posto i loro interessi al di sopra dell’interesse pubblico, al fine di accumulare denaro illegalmente”. Ma secondo gli analisti, le ‘purghe’ rappresentano l’ennesima misura preventiva voluta dal principe per eliminare figure potenti mentre esercita il controllo del Paese, leader mondiale dell’esportazione di petrolio.
Il principe 32enne Mohammed bin Salman è considerato di fatto il reggente dell’Arabia Saudita. Conosciuto giornalisticamente come Mbs, controlla il potere da diverse ‘postazioni’. Nominato a giugno Ministro della Difesa, Mbs ha scavalcato il cugino Mohammed bin Nayef, come erede al trono e al ministro dell’Interno e all’Economia. E’ lui che sta fortemente puntando sul piano ‘Vision 2030‘, che punta a diversificare l’economia del regno, in gran parte dipendente dalle esportazioni di petrolio.
[didascalia fornitore=”ansa”]Il principe Mohammed bin Salman[/didascalia]
Il cambiamento è avvenuto in un periodo in cui il regno risente del calo del prezzo del greggio ma soprattutto in un momento particolare, segnato dalla storica rivalità con l’Iran e nel mezzo della crisi tra i Paesi della regione innescata dall’annuncio di Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti ed Egitto di rompere le relazioni con il Qatar, accusato di sostenere il terrorismo.
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/mondo/2017/06/05/arabia-saudita-bahrein-egitto-ed-emirati-chiudono-i-rapporti-col-qatar-finanzia-il-terrorismo/174455/” testo=”Il mondo Arabo si divide: il Qatar viene isolato per ‘terrorismo’”]
C’è poi chi legge il blitz anti-corruzione come un colpo a chi si oppone al progetto di riforme volute dal principe per rompere con la tradizione conservatrice, all’interno delle quali rientra la storica abolizione del divieto di guida per le donne, la possibilità per le donne di entrare negli stadi e la promozione di eventi e intrattenimenti per favorire anche le visite di turisti stranieri nel Paese. Mohamed bin Salman ha anche ridotto la spesa statale in alcune aree e sta pensando a una grande vendita di beni statali, compresa la parte fluttuante del gigante statale del petrolio Saudi Aramco, sui mercati internazionali. Ed ecco perché, spiegano gli analisti più informati che hanno commentato la vicenda, tra gli arrestati vi è il potente Moteib Bin Abdullah, ministro della Guardia Nazionale. Altro ministro defenestrato quello dell’Economia e della Pianificazione, Adel al-Faqieh. Fatto fuori anche il comandante della Marina saudita, l’ammiraglio Abdullah al-Sultan, insieme all’ex ministro delle Finanze, Ibrahim al Assaf, membro del consiglio nazionale della Saudi Aramco.
[npleggi id=” https://www.nanopress.it/mondo/2017/09/27/arabia-saudita-svolta-storica-le-donne-potranno-guidare-l-auto/185651/” testo=”Donne al volante: svolta storica in Arabia Saudita”]
Le conseguenze della retata in Arabia Saudita
Nella terra degli sceicchi le conseguenze immediate della retata voluta dal principe di Riad si sono abbattute sull’oro nero. Il prezzo del petrolio è salito ai picchi di luglio del 2015. Inoltre l’Opec dovrebbe estendere il taglio della produzione di circa 1,8 milioni di barili al giorno all’intero 2018. Al momento le quotazioni del Brent (riferimento europeo) hanno raggiunto i 62,9 dollari al barile, mentre quelle del Wti (riferimento americano) hanno superato i 56 dollari al barile.
Anche per l’aumentare del prezzo del petrolio, le compagnie energetiche degli Stati Uniti hanno già chiuso 8 impianti petroliferi in pochi giorni e mentre le forniture si stanno riducendo, la domanda rimane forte, sottolineano gli analisti, e non sembra che l’Arabia Saudita abbia intenzione – a breve – di cambiare le sue politiche di aumento dei prezzi del greggio.
In Libano si è dimesso il primo ministro Saad al-Hariri, strettamente legato ai sauditi, citando un complotto “contro la sua vita” e accusando l’Iran e lo stesso alleato di governo Hezbollah di seminar guerra nel mondo Arabo: “sta dirigendo armi” verso lo Yemen, la Siria e il Libano, dove – denuncia – si vive “in un clima simile all’atmosfera che ha preceduto l’omicidio di mio padre Rafik al-Hariri. So che c’è un piano per colpire la mia vita”, ha sostenuto Hariri, dando l’annuncio delle sue dimissioni proprio durante una visita in Arabia Saudita, in un discorso trasmesso dall’emittente Al Arabiya, che in qualche modo ha posto il Libano in prima linea all’interno della rivalità saudita-iraniana basata sulle divisioni settarie tra sunniti e sciiti musulmani.
[npleggi id=”https://www.nanopress.it/mondo/2017/11/03/chi-sono-i-sunniti-e-gli-sciiti-differenze-dottrinali-fra-i-due-piu-grandi-rami-dell-islam/136223/” testo=”Chi sono i sunniti e gli sciiti: differenze dottrinali fra i due più grandi rami dell’Islam”]
E il botta e risposta è stato immediato, con il leader del gruppo sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, che ha accusato l’Arabia Saudita di aver “imposto” le dimissioni al premier libanese Saad Hariri, annunciate sabato da Riad. Secondo Nasrallah il governo saudita avrebbe addirittura scritto il testo del primo ministro libanese. A dirimere la questione è stato il presidente del Libano, Michel Aoun, che ha dichiarato che non deciderà se accettare o rifiutare le dimissioni del premier Saad al-Hariri fino a quando il primo ministro non farà ritorno in Libano per spiegare le sue ragioni. Intanto Saad al-Hariri è partito il 7 novembre da Riad per Abu Dhabi dove terrà colloqui con il principe emiratino Mohammed bin Zayed al-Nahyan.
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