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Le armi chimiche della Siria stanno per arrivare a Gioia Tauro. Il porto sarà sottoposto ad una serie di controlli e nell’operazione saranno impegnati molti uomini delle forze dell’ordine, per garantire l’isolamento della zona. Si prevede il trasferimento di 60 container con 570 tonnellate di sostanze potenzialmente letali. La Prefettura di Reggio Calabria e il Ministero dell’Interno hanno disposto molte misure di sicurezza, che scatteranno alcune ore prima dell’arrivo delle navi. L’operazione in se stessa non è complicata, ma va sottoposta a massima attenzione.
Una volta che le navi saranno arrivate, saranno rifornite di gasolio e poi le armi chimiche saranno trasportate su una nave statunitense, che ripartirà. In acque internazionali gli agenti chimici dovranno essere resi innocui per mezzo del sistema dell’elettrolisi. Verranno azionate delle gru, per scaricare i container. Verrà installato anche un generatore, che entrerà in funzione in caso di mancanza di energia elettrica. Si prevede l’installazione di barriere e di zone assorbenti, che potranno essere utili in caso di incidente.
Sarà attiva anche una stazione di decontaminazione gestita dai vigili del fuoco e dal 118. Il Ministero dell’Interno, in accordo con la Prefettura, ha stabilito di creare un’area di sicurezza di più di un chilometro. Anche le imprese che operano all’interno di questa zona dovranno sospendere ogni attività e nessuno potrà accedervi senza autorizzazione. Sarà interdetto lo spazio aereo e lo scalo sarà soggetto al presidio della Marina militare e di gruppi di subacquei.
Intanto, la paura nella popolazione locale cresce: ci sono dei rischi? Se sì quali? Il piano ONU-OPAC dovrebbe completarsi nei tempi stabiliti dall’accordo raggiunto con il regime siriano, con una tappa fondamentale: il trasbordo nel porto di Gioia Tauro dei container contenenti le armi chimiche, tra cui 700 tonnellate di gas velenosi e agenti nervini come sarin e gas mostarda, è previsto entro due settimane, la durata del viaggio della Cape Ray degli USA. L’operazione di trasbordo dovrebbe avvenire in 24-48 ore, durante le quali il porto sarà isolato nel raggio di un chilometro: i container non dovranno toccare terra, ma essere spostati dalle navi europee a quella statunitense, ora sotto il controllo della Marina Militare. Eppure il piano ha scatenato paure nella popolazione locale, con forti reazioni anche da parte delle autorità locali, dai sindaci al presidente della Regione Giovanni Scopelliti, che hanno puntato il dito contro il governo: nessuno li ha avvisati della decisione di scegliere Gioia Tauro se non a cose ormai fatte.
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Il piano di distruzione delle armi
Il piano di distruzione delle armi prevede una tappa in Italia. Le due navi partite da Damasco sono scortate da navi militari, seguite con satelliti, e non toccheranno il porto calabrese fino all’arrivo della Cape Ray. Una volta che anche la nave statunitense sarà arrivata a Gioia Tauro (il viaggio è di circa due settimane), partirà il trasbordo dei container. Il porto sarà chiuso e isolato nel raggio di un chilometro da circa 600 militari italiani: i container saranno spostati sulla nave USA senza stoccaggio a terra.
Quando i container saranno caricati, la Cape Ray prenderà il largo: a bordo, ha ricordato il colonnello Steve Warren del Pentagono, si trovano 35 marines e 64 esperti della Army’s Edgewood Chemical Biological Center, oltre a personale di sicurezza e di supporto. che inizieranno le operazioni di smaltimento delle armi più pericolose, circa 700 tonnellate di materiali altamente tossici. La nave ha due sistemi Fdhs (Dield deployable hydrolysis system): tramite processi di idrolisi si mischiano le componenti chimiche con acqua calda e altri elementi chimici fino a scomporle e renderle inoffensive.
Le paure di Gioia Tauro
Tutta l’operazione, assicurano i vertici militari e dell’OPAC, sarà effettuata secondo le leggi internazionali dello smaltimento delle armi chimiche, senza alcun contraccolpo sul porto di Gioia Tauro e sulla popolazione. Eppure, gli abitanti non hanno mai smesso di temere per la loro salute e del territorio, esposto ad alcuni dei componenti chimici più pericolosi al mondo.
Fin dall’inizio dell’operazione, è mancato un dialogo costante e preciso tra i vertici dello Stato e le autorità locali. Lo ricorda Emiliano Morrone, giornalista calabrese del Fatto Quotidiano, nel suo blog: “c’è l’isolamento di un’intera regione”, ci sono “i limiti dell’organizzazione politica di noi calabresi: ognuno va per conto suo, i partiti locali obbediscono a Roma, qualcuno rincara la dose, alza il tiro” e soprattutto ci sono “informazioni ufficiali scarse e incomplete”.
C’è poi un elemento che rimbalza nella sua analisi ed è il legame che la ‘ndrangheta ha con il porto di Gioia Tauro: lo scalo e il business ha attirato le ‘ndrine, come ricorda un articolo de La Stampa, tra pizzo, trasporto di cocaina e affari loschi. Gioia Tauro viene dimenticata dal governo centrale che si ricorda del porto calabrese quando ha bisogno della sua “professionalità ed esperienza”, come disse il ministro Maurizi Lupi, mentre “a nessuno importa che la zona circostante, la cosiddetta Piana di Gioia Tauro, sia una pattumiera di rifiuti, inceneriti o scaricati, e che lì sarà costruito un rigassificatore che peserà sull’ambiente”, conclude Morrone.
Non si mette in dubbio la professionalità di un porto che, come ricordato anche dal ministro Emma Bonino, ha già gestito il trasporto di componenti simili a quelle delle armi siriane: è la mancanza di chiarezza e di dialogo che porta a domande senza risposta.
Le verità taciute
Ci sono molti punti di tutta la vicenda che aspettano di essere chiariti: a metterli in ordine è un comunicato dell’U.Di.Con. (Unione per la Difesa dei Consumatori) della Calabria.
Le autorità locali sono state avvisate a cose fatte: il 21 gennaio c’è stato l’incontro con il governo a cui hanno preso parte, i sindaci di Gioia Tauro e San Ferdinando, dove si trova il porto, Renato Belfiore e Domenico Madafferi, e il governatore Scopelliti. “Abbiamo ricevuto ampie rassicurazioni dal governo”, ha commentato il presidente della Regione, mentre i primi cittadini hanno continuato a esprimere il loro dissenso per “una specie di ultimatum” a cui non possono dire di no.
Secondo l’U.Di.Con, esiste però “una nota del 16 gennaio 2014, la n°41, di Politica Internazionale della Camera dei Deputati Servizio Studi dalla quale chiaramente si evincono le modalità del Piano ONU-OPAC per lo smaltimento delle armi chimiche siriane”.
Non solo era tutto chiaro, ma ogni passaggio era studiato secondo i massimi standard di sicurezza (“La Russia ha fornito 75 camion blindati, mentre gli Usa hanno fatto arrivare attraverso la Giordania 28 veicoli per il trasporto di container marittimi. Satelliti americani e telecamere su mezzi cinesi controllano lo spostamento dei camion russi, mentre la sicurezza sul terreno è affidata alla truppe siriane.Anche la Finlandia partecipa a garantire la sicurezza dei convogli”), mentre la fase da espletare nel Porto di Gioia Tauro viene passata per routine”.
La decisione del porto calabrese come punto di trasbordo viene presa nell’arco di pochissimo. il 16 gennaio, data dalla nota, “il porto di destinazione, benché italiano, era sconosciuto”; pochi giorni e viene confermato Gioia Tauro.
Perché dunque tutti i passaggi sulla sicurezza sono stati fissati prima, con l’ausilio di potenze straniere, mentre quello in Italia non è stato altrettanto definito con chiarezza? Perché non dire subito che le operazioni di smaltimento dureranno sessanta giorni e che saranno fatte per la prima volta a bordo di una nave?
Lo ha ricordato anche il segretario alla Difesa Usa, Chuck Hagel, in un messaggio all’equipaggio della Cape Ray. “State per compiere qualcosa che nessuno ha mai tentato prima. Distruggerete in mare uno degli arsenali di armi chimiche più grandi al mondo, contribuendo a rendere la Terra più sicura. Il vostro compito non sarà facile. Le vostre giornate saranno lunghe e impegnative. Ma il vostro duro lavoro, la vostra preparazione e il vostro zelo faranno la differenza”.
Quando i sindaci hanno chiesto chiarimenti sulle sostanze, hanno avuto risposte evasive, eppure, ricorda l’U.Di.Con, nella nota era già scritto che il 7 gennaio l’Ark Futura aveva carica 27 tonnellate di agenti chimici “priorità 1, i più pericolosi, tra cui i componenti del sarin”.
“Il dubbio è legittimo: la scelta del trasbordo, dell’idrolisi che verrebbe fatta per la prima volta a bordo di una nave è sicura ? Chi può garantirlo ? Esistono precedenti visto che si parla di una prima volta ? Oppure per ragioni economiche ed internazionali si è disposti ad accettare il rischio di sacrificare la salute e la sicurezza dei cittadini? Perché altri Stati Europei invocando anche la legislazione nazionale che proibisce il transito di armi chimiche hanno negato la propria disponibilità e l’Italia invece si è fatta avanti?”, chiede l’U.Di.Con.
L’OPAC, ricorda il comunicato, ha indetto una gara d’appalto internazionale per gli impianti chimici civili che si dovranno occupare del trasporto e dello smaltimento delle sostanze meno pericolose e delle scorie tossiche dopo l’eliminazione a bordo della nave USA.
“Tenendo presente che ci sono ancora circa 2500 tonnellate di sostanze tossiche ad uso militare da smaltire e che ci sono chiari ed evidenti interessi economici legati allo smaltimento mascherati ‘dal buonismo pacifista’ questo ‘trasbordo’ vuole essere invece il ‘primo effettivo precedente’ al Porto di Gioia Tauro per aprire il varco a operazioni future?”, conclude l’U.Di.Con.
Insomma, troppe domande rimangono senza risposta e questo non fa che aumentare il senso di paura nelle popolazioni, che temono per il presente ma anche per il futuro, con la ‘ndrangheta pronta a mettere mani anche in questo “business della pace”.
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