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Sull’articolo 18 sono state prese alcune importanti decisioni: si creerà un contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Inoltre ci sarà un riordino degli ammortizzatori sociali e sono state stabilite più tutele per la maternità. Il governo ha voluto mettere ordine nella varietà dei contratti, portando avanti un riordino a costo zero. E’ stato deciso che il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti può essere applicato soltanto ai neoassunti.
E’ stato garantito il reintegro nel posto di lavoro, nel caso si verificassero dei licenziamenti illegittimi, che si possono definire nulli o discriminatori. Particolarità introdotte anche per i licenziamenti disciplinari, ma che verranno specificate soltanto con i decreti delegati. In tutti gli altri licenziamenti disciplinari e in quelli che avvengono per motivi economici è previsto soltanto l’indennizzo.
Il piano di Renzi
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Il piano di Renzi sul lavoro è stato fin dall’inizio del suo governo molto chiaro. Il Presidente del Consiglio ha proposto da sempre un programma economico ben preciso, che dovrebbe portare ad un aumento delle assunzioni dei giovani under 30. Naturalmente tutto questo può essere realizzato con appositi incentivi, che resterebbero comunque come aggiuntive (non sarebbero dati alle imprese che, prima di assumere, effettuano dei licenziamenti). Diventerebbero più facili i licenziamenti, ma, secondo Renzi, le politiche per l’impiego risulterebbero rafforzate. Verrebbero incentivati i posti di lavoro, specialmente quelli relativi ai settori della ricerca e dell’alta innovazione.
Leggi l’opinione della giuslavorista Cristina Guelfi
Con la riforma Fornero, nelle aziende con più di 15 dipendenti, il diritto al reintegro viene ancora garantito in caso di licenziamenti per discriminazione. Negli altri casi, gli imprenditori possono licenziare ma dietro pagamento di un’indennità che aumenta in rapporto agli anni lavorati. Rimangono le differenze su cosa fare dopo i primi tre anni: la sinistra dei dem vorrebbe ripristinare l’articolo 18, il NCD vorrebbe tenere solo la protezione crescente, mentre altri settori del PD punta a una via di mezzo, con il reintegro solo dopo un certo numero di anni di lavoro o età del lavoratore.
Aziende dunque più libere di licenziare e nuovo sistema di ammortizzatori sociali da parte dello Stato che prevede l’anticipo dell’indennità di disoccupazione prevista nella riforma Fornero dal 2017. Chi perde il lavoro riceverebbe il sostegno economico statale ma a condizione di seguire la formazione e accettare proposte di lavoro congrue. Tra gli ammortizzatori sociali, scomparirebbero la cassa integrazione in deroga e per chiusura aziendale, così come l’indennità di mobilità: rimarrebbero la cassa integrazione ordinaria per momentanei cali di produzione e quella straordinaria per ristrutturazioni aziendali ma solo dopo riduzioni d’orario. Da una parte si punta a ridurre l’uso della cassa integrazione a pochi casi, dall’altra si vuole ampliare la platea di aziende che ne usufruirebbero con le piccole imprese.
Favorevoli e contrari
La riforma del lavoro voluta dal governo Renzi e dal Partito Democratico non incontra il favore di tutti i sindacati, Matteo Renzi ha replicato con parole dure alle critiche di Susanna Camusso. Alla segretaria della Cgil che lo ha paragonato alla storica leader dei conservatori inglesi Margaret Thatcher, il presidente del Consiglio ha risposto chiamando in causa le responsabilità dei sindacati che hanno “contribuito” all’espandersi del precariato, “preoccupandosi soltanto dei diritti di alcuni e non dei diritti di tutti“. L’affondo di Renzi ai sindacati che minacciano proteste e scioperi contro il Jobs act è molto pesante.
“A quei sindacati che vogliono contestarci chiedo: dove eravate in questi anni quando si è prodotta la più grande ingiustizia, tra chi il lavoro ce l’ha e chi no, tra chi ce l’ha a tempo indeterminato e chi precario” perché “si è pensato a difendere solo le battaglie ideologiche e non i problemi concreti della gente“. La Cgil via Twitter è intervenuta coniando un nuovo hashtag, #fattinonideologia con cui replica alle accuse del premier: “Basta insulti al sindacato: guardiamoci negli occhi e discutiamone“. Un altro tweet recita: “Mandare tutti in serie B non è estendere i diritti e le tutele“.
“Mi sembra che il presidente del Consiglio abbia un po’ troppo in mente il modello della Thatcher“, aveva detto il segretario della Cgil, Susanna Camusso, durante l’inaugurazione della nuova sede regionale del sindacato a Milano. “La sfida che lanciamo noi – spiega Camusso – è fatta dall’idea che si può fare lo statuto dei lavoratori, ma bisogna fare sì che tutti abbiano gli stessi diritti con contratti a tempo indeterminato“. Aveva incalzato la Fiom: “È il momento di mobilitarsi, un lavoro senza diritti è un ritorno all’800. Siamo di fronte a proposte del Governo che cancellano interi articoli dello Statuto dei lavoratori, provocando il peggioramento dei diritti“.
Contrari all’abolizione dell’articolo 18 anche Forza Italia e la Lega, i quali ritengono che ad una maggiore flessibilità occupazionale non corrisponda la tutela di alcuni diritti fondamentali. Secondo gli esponenti di Centro-Destra, il problema della mancanza di occupazione in Italia dovrebbe risolversi con delle altre soluzioni e non con la cancellazione di uno strumento, che serve a dare delle tutele.
Anche Giorgio Napolitano si è espresso a proposito delle riforme, dando degli indizi sulla sua posizione accanto a quella di Renzi sulla questione del lavoro. In occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico al Quirinale, il Presidente della Repubblica ha detto che in Italia dobbiamo rinnovare le istituzioni, le strutture sociali e i comportamenti collettivi. Il capo dello Stato ha specificato che non è possibile che nel nostro Paese si resti “prigioneri di conservatorismi, corporativismi e ingiustizie“.
Cos’è l’articolo 18?
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L’articolo 18 fa parte della legge numero 300 del 20 maggio 1970, quella che viene chiamata “Statuto dei Lavoratori”. Si tratta di un insieme di norme che disciplinano la tutela della libertà dei lavoratori e dell’attività sindacale. L’articolo 18 si trova all’interno del Titolo II della legge, relativo alla libertà sindacale. In particolare questo articolo regola il reintegro del lavoratore nel suo posto di lavoro. Chi ritiene di essere stato allontanato dal suo impiego senza un giustificato motivo può richiedere al giudice il reintegro. Il giudice, se accetta la proposta, annulla il licenziamento accaduto senza giusta causa.
A questo seguono degli obblighi: il datore di lavoro deve collocare il lavoratore allo stesso posto di lavoro, assicurando lo stesso trattamento economico che aveva prima di essere licenziato. Inoltre viene disposto un risarcimento dei danni, che corrisponde solitamente al guadagno economico che il lavoratore avrebbe ottenuto con il suo stipendio. Inoltre il datore deve mettersi in regola con il pagamento dei contributi che non sono stati versati nel periodo del licenziamento. C’è anche un altro principio importante, quello dell’indennità. Il lavoratore può chiedere la somma corrispondente a 15 mesi di stipendio, evitando di rientrare al suo posto di lavoro. Questo avviene per impedire che si vengano a creare delle condizioni ostili nell’ambiente di lavoro in seguito al reintegro. L’articolo 18 è valido esclusivamente per le imprese che hanno 15 o più dipendenti.
I pro e i contro
Da sempre l’articolo 18 e le varie proposte di modifica hanno suscitato ampie discussioni e polemiche tra coloro che vorrebbero mantenere la norma allo stato in cui si trova attualmente e coloro che vogliono riformarla parzialmente o abolirla del tutto. Diversi sono i pro e i contro dell’articolo 18, che possono riassumersi in alcuni punti ben specifici, che riguardano in particolare la tutela dei lavoratori.
Secondo molti, l’articolo 18 costituisce un problema per l’economia del nostro Paese, dal momento che diverse imprese preferiscono non assumere più di 14 dipendenti per evitare che vengano applicate le regole previste dalla norma in questione. Questo porterebbe ad uno sviluppo di aziende di piccole e di medie dimensioni e limiterebbe, secondo queste opinioni, la crescita delle imprese di grandi dimensioni. In questo modo le piccole aziende farebbero fatica ad affermarsi sul mercato italiano e su quelli internazionali e ne risentirebbe lo sviluppo economico dell’intero Paese. L’articolo 18, dunque, potrebbe costituire un vero e proprio freno all’occupazione nel nostro territorio, considerando che sono molte le aziende che non usufruiscono di questa legge. Senza contare che potrebbe trascinare un’impresa in difficoltà verso il fallimento.
Da un altro punto di vista, però, bisogna considerare che l’articolo 18 è allo stesso tempo un modo per scoraggiare i licenziamenti facili e per dare la possibilità ai dipendenti di difendersi e di ottenere, nei casi previsti, il reintegro. Costituisce quindi una garanzia per chi lavora, visto che, senza questa norma, i datori di lavoro potrebbero trovare qualsiasi motivazione per effettuare dei licenziamenti. E’ questo ciò che pensano coloro che vogliono mantenere così com’è l’articolo o, al limite, estendere il numero al di sotto dei 15 lavoratori. Anche i sindacati si battono da diverso tempo contro chi vuole effettuare una revisione dell’articolo in questione.
Il referendum
Nel 2000 gli italiani sono stati chiamati a decidere cosa fare dell’articolo 18, attraverso un referendum sulla questione, messo a punto sotto la spinta dei radicali. E’ stato chiesto ai nostri connazionali se fossero d’accordo con l’abolizione della norma, un modo, secondo i favorevoli, che avrebbe portato a garantire maggiori possibilità di occupazione in Italia. Il referendum, comunque, non ha portato ad alcun risultato, visto che è stato invalidato perché non si è raggiunto il quorum necessario. La maggior parte dei voti, in ogni caso, è andata contro l’abolizione dell’articolo 18 e la questione ha continuato a suscitare delle polemiche molto ampie.