Quattro mercenari coinvolti nell’omicidio del presidente haitiano Jovenel Moise sono stati uccisi e altri due sono stati arrestati. Lo ha riferito il direttore generale della polizia di Haiti, Léon Charles, spiegando che tre poliziotti che erano stati presi in ostaggio e liberati.
Ucciso a casa sua, nella notte tra martedì e mercoledì, da un commando di elementi stranieri, alcuni dei quali si esprimevano in spagnolo. E’ morto così il presidente haitiano Jovanel Moise. La moglie è in gravi condizioni e sarà trasferita all’ospedale di Miami.
Il primo ministro Joseph prende le redini del paese e invita la popolazione alla calma. Assicura che esercito e polizia manterranno l’ordine, ma è difficile la situazione a Haiti, il paese più povero al mondo, devastato da un catastrofico terremoto nel 2010, poi da un uragano, poi dal colera. All’indomani dell’assassinio, le strade sono deserte e silenziose, la popolazione spaventata si è barricata in casa.
Proprio in uno di quei quartieri è stato rapito lo scorso mese l’ingegnere italiano Giuseppe Calì. Ventidue giorni di prigionia da parte di una delle tante bande criminali che rapiscono funzionari stranieri per poi chiedere il riscatto. L’aeroporto della capitale è stato chiuso e la Repubblica Domenicana ha immediatamente chiuso le frontiere. Le informazioni restano confuse, ma l’assassinio mostra tutti i problemi strutturali del paese caraibico.
Lo stesso Moise era stato contestato negli anni passati da migliaia di manifestanti, non solo per presunte irregolarità nella gestione di programmi internazionali di aiuti, ma accusato anche di violazione dei diritti umani per il modo in cui reagiva alle proteste.
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