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Il presunto assassino di Yara Gambirasio resta in carcere. Lo ha deciso il giudice Ezia Maccora, che contesta a Massimo Giuseppe Bossetti un’altra aggravante. Yara non poteva sfuggire all’uomo, perché era “in condizioni di minorata difesa”. Il gip ha deciso di non convalidare il fermo, dal momento che non esiste il pericolo di fuga alla base del provvedimento, ma Bossetti resta comunque in carcere. La motivazione è molto chiara: “Le esigenze cautelari sussistono avuto riguardo alla gravità intrinseca del fatto connotato da efferata violenza e dalla personalità di Bossetti, dimostratosi capace di azioni di tale ferocia posta in essere nei confronti di una giovane e inerme adolescente abbandonata in un campo incolto ove per le ferite e per ipotermia ha trovato la morte”.
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Secondo il giudice, si tratta di una condotta “particolarmente riprovevole per la gratuità e superficialità dei patimenti cagionati alla vittima, con un’azione efferata, rivelatrice di un’indole malvagia e priva del più elementare senso di umana pietà”. Bossetti, quindi, resta in carcere, tenendo conto anche del pericolo che possano essere reiterati “reati della stessa indole o comunque commessi con violenza se si considera che ad oggi non si conoscono le ragioni che hanno portato Bossetti a sfogarsi su una giovane ragazza che non si sa se conosceva e se sulla stessa aveva già da tempo posto la sua attenzione”.
Bossetti, quindi, potrebbe tornare ad uccidere, ma rischierebbe solo 10 anni di carcere. E’ questa, infatti, la pena che potrebbe scontare il presunto assassino di Yara, che al momento si trova ad un bivio fondamentale. Massimo Giuseppe Bossetti in questo momento deve decidere quale strada prendere nello specifico, con l’aiuto del suo avvocato. Al momento la prova principale contro Bossetti è quella del dna, che corrisponderebbe a quello trovato sugli indumenti della tredicenne. C’è anche la prova della cella telefonica che il cellulare di Bossetti aveva agganciato la sera della scomparsa di Yara. In questo caso però il legale potrebbe sostenere che Bossetti si trovava a casa, in un luogo poco distante da dove è scomparsa la ragazzina.
Le indagini, inoltre, puntano anche su un’altra questione: l’uomo, in realtà, probabilmente non voleva uccidere la ragazza, perché i segni delle coltellate non sono precisi e risultano superficiali e inoltre Yara è morta di freddo, non è stata portata nel campo per essere nascosta. Rimarrebbe, quindi, la prova del dna. Bossetti potrebbe scegliere di affidarsi ad un genetista, per cercare di analizzare al massimo le accuse, ma potrebbe anche confessare e optare per il rito abbreviato con accusa di omicidio preterintenzionale, che potrebbe portare ad una condanna a 10 anni.
L’arresto
Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di 44 anni, sposato e con tre figli, sarebbe il figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, l’autista di Gorno identificato come il padre di Ignoto 1, l’assassino di Yara. Bossetti è stato arrestato nei giorni scorsi, dal momento che il suo dna corrisponderebbe a quello che è stato trovato negli slip della ginnasta di Brembate di Sopra. A conferma della notizia dell’arresto è intervenuto il ministro dell’Interno, Angelino Alfano.
Proprio Alfano ha detto che si tratta di una persona del luogo, della provincia di Bergamo, e ha specificato: “L’Italia è un Paese dove chi uccide e chi delinque viene arrestato e finisce in galera. Può passare del tempo o può finirci subito. Ma questo è il destino che attende i criminali“. Gli inquirenti sono arrivati a Massimo Giuseppe Bossetti attraverso l’individuazione della madre. Tutto è iniziato con una lista di 525 donne, le quali, nel corso della loro vita, avevano avuto almeno un contatto con Giuseppe Guerinoni. Lo scorso 13 giugno il test del dna è riuscito ad identificare Ester Arzufi, 67 anni, come la madre dell’omicida. La donna negli anni ’70 era stata l’amante segreta di Guerinoni: dalla relazione erano nati due gemelli. Bossetti potrebbe essere il figlio o il nipote della donna di servizio dei Gambirasio e quindi avrebbe potuto conoscere Yara.
Poi è seguita un’indagine sulle verifiche delle cellule telefoniche. Gli inquirenti hanno scoperto che alle 17:45 del 26 novembre 2010 il cellulare di Bossetti risultava essere rintracciabile nella zona della palestra. L’uomo, infatti, aveva fatto una telefonata e dopo un’ora da questa si sono perse le tracce di Yara. Nessun’altra telefonata, fino alle 7 della mattina successiva, quando poi è stata effettuata un’altra chiamata.
Gli inquirenti si sono concentrati sul figlio maggiore, anche perché esiste un collegamento fra l’attività svolta da lui, il muratore, e le tracce di calce provenienti da un cantiere che sono state ritrovate nei polmoni della piccola ginnasta di Brembate di Sopra. Tra l’altro nelle scarpe Yara aveva anche dei tondini molto simili a quelli che vengono utilizzati in campo edilizio. A questo punto tutte le attenzioni si sono concentrate su Bossetti, che è stato intercettato e pedinato.
Domenica 15 giugno è stato fatto un controllo che apparentemente sembrava casuale, ma che ha avuto l’obiettivo di prelevare il suo dna. Mentre l’uomo viaggiava con la sua automobile sulla strada verso Seriate, è stato fermato e sottoposto all’alcool test. Era importante avere la sua saliva, per effettuare un confronto del dna. In pochi minuti si è avuta la prova decisiva, che ha identificato Massimo Giuseppe Bossetti come l’assassino di Yara.
Quando Bossetti è stato arrestato, non ha fatto scenate ed è rimasto con lo sguardo rigido. I vicini si sono accaniti contro di lui, urlandogli contro: “Assassino, devi morire”. I figli Nicolas di 13 anni, Alice di 10 e Aurora di 8 sono molto scossi. Come si vede dal suo profilo Facebook, scandito da barzellette sconce e da uno stile di vita spesso volgare, le due bambine in una foto appaiono vestite da ginnaste, in un atteggiamento molto simile a quello mostrato da Yara quando andava in palestra. Tutto ciò potrebbe sembrare una coincidenza, ma non fa altro che complicare ancora di più la posizione di Bossetti.
Massimo Bossetti è accusato di omicidio e dell’aggravante di aver sottoposto la piccola Yara a diverse sevizie, anche se si esclude la premeditazione. Il muratore avrebbe colpito la ragazzina con tre colpi al capo e con varie coltellate in diverse zone del corpo, per poi abbandonarla agonizzante in un campo. Per i militari non ci sono dubbi: il dna ritrovato sugli slip di Yara corrisponderebbe al 100% a quello di Bossetti.
L’avvocato Silvia Gazzetti, difensore del presunto assassino, non ha voluto rilasciare nessuna dichiarazione, perché aspetta che ci siano delle conferme negli atti della Procura. Comunque l’avvocato ha detto che Bossetti si è avvalso della facoltà di non rispondere e che, nonostante tutto, l’interrogatorio si è svolto con tranquillità.
Il legale della famiglia Gambirasio ha espresso la sorpresa della famiglia, che a quanto pare non sapeva, fino a ieri, chi fosse Bossetti. Gli esperti sottolineano che l’omicida avrebbe perso il controllo, portando avanti un’aggressione di tipo sessuale nei confronti di Yara. Molto probabilmente, quando ha capito di essere andato oltre, è passato all’atto concreto dell’assassinio.
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Il complice
Il caso, comunque, non è chiuso. A dirlo è il questore di Bergamo, Fortunato Finolli, che ha spiegato che ci sono ancora degli accertamenti da effettuare: “Dobbiamo attualizzare la presenza della persona a quattro anni fa”. Spunta, quindi, l’ombra di un possibile complice, che potrebbe aver agito la sera in cui è stato effettuato l’omicidio.
Il colonnello Antonio Bandiera, nel corso di una conferenza stampa alla caserma dei carabinieri di Bergamo, ha parlato delle indagini e di come si è arrivati all’arresto di Bossetti. Ha spiegato che è stata un’indagine lunga e complessa: “Abbiamo approfondito le nostre attività su una pista investigativa del tutto nuova per quello che riguarda il contesto nazionale ma probabilmente anche a livello internazionale: sono stati raccolti migliaia e migliaia di Dna in modo scientifico, sono stati analizzati tutti i cellulari attivi nella cella la sera della scomparsa di Yara”. Il colonnello ha spiegato il lavoro che è stato effettuato per ogni cellulare: “Siamo andati a cercare non solo l’intestatario di ogni singolo utente, ma anche chi erano i suoi conviventi. Abbiamo vagliato le cerchie amicali e relazionali, la zona del rinvenimento del cadavere, la palestra”.
La paura di Yara
Adesso si scopre anche che Yara aveva paura. C’è un dettaglio che è diventato all’improvviso molto importante e che riguarda una confidenza che la ragazzina aveva effettuato, qualche settimana prima della sua morte, al fratellino. Gli aveva raccontato che si era spaventata perché c’era un uomo che la osservava. Un racconto al quale, dopo un po’ di tempo, non è stato dato molto peso. I genitori avevano preferito non riprendere la discussione, probabilmente per non turbarla. Adesso però questo dettaglio torna alla ribalta e potrebbe indicare che Bossetti aveva puntato Yara già da tempo.
I genitori di Yara escludono di conoscere Bossetti: “Forse da ragazzi ci siamo incrociati, ma non lo conosciamo”. E intanto alle indagini vanno ad aggiungersi le dichiarazioni di Marita Comi, la moglie di Bossetti, che non fornisce un alibi al marito per la sera del 26 novembre 2010. Anzi, dice di non ricordare quanto il marito è tornato a casa e se hanno cenato assieme. E’ possibile che non ricordi nulla, vista la grande attenzione che è stata data fin dal primo momento al caso di Yara (le voci, quella sera, circolarono velocemente nella zona e subito i media hanno diffuso la notizia)?
L’identificazione del padre
La vera svolta sul caso è arrivata con la conferma scientifica su Giuseppe Guerinoni, padre di Ignoto 1, nome con il quale si definisce l’assassino ancora sconosciuto della ragazzina. E’ stata effettuata la riesumazione del corpo dell’autista di Gorno, che è morto nel 1999: è stato prelevato un campione del dna, che è stato sottoposto ad analisi. Si è scoperto che esiste una compatibilità del quasi 100% con una macchia di sangue trovata sul corpo di Yara, che apparterrebbe all’omicida. Secondo la ricostruzione dei fatti, quest’ultimo si sarebbe ferito con un coltellino durante l’aggressione. I risultati delle analisi scientifiche, eseguite dall’esperta Cristina Cattaneo, sono stati consegnati al PM Letizia Ruggeri, che è la titolare dell’inchiesta.
RIPERCORRI le tappe più importanti delle indagini
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