La storia di Martina Camuffo, formalmente assunta anche se incinta al nono mese, merita di essere raccontata. Così come il gesto di Samuele Schiavon e Stefano Serena, imprenditori atipici che non si sono fatti intimidire dal pancione. In un Paese normale, che non discrimini le donne, questa non sarebbe nemmeno una notizia: sarebbe la consuetudine. Così come non si scriverebbe “anche se” prima di “incinta”.
La storia di Martina la racconta il Corriere della Sera. 36 anni, tempo fa aveva lavorato come commerciale presso una grossa azienda di vini friulana. Samuele Schiavon, titolare di The Creative Way, impresa con sede a Padova e Mestre che si occupa di siti Internet, marketing e digitale, l’aveva vista all’opera e le era subito piaciuta. Tanto che, quando ha deciso di ampliare la sede di Mestre, ha pensato subito a lei e l’ha chiamata.
Martina non poteva nascondergli che era incinta di sette mesi e che a febbraio avrebbe partorito. «Appena Samuele mi ha chiamato l’ho avvisato subito della novità — racconta Martina — gli ho detto che ero incinta di sette mesi e che avrei partorito a breve. La loro proposta era molto interessante e io ero felicissima che mi avessero contattato ma immaginavo che l’opportunità sarebbe sfumata. Ci siamo incontrati, abbiamo scambiato qualche idea. E alla fine mi ha detto che era sua intenzione offrirmi un contratto. Quasi non ci credevo».
Troppo spesso, infatti, in Italia la sola intenzione di avere dei figli basta per essere scartate al colloquio di lavoro. Il pancione e lo spauracchio della maternità possono oscurare anche il miglior curriculum. Non sempre, per fortuna. «Non ci abbiamo pensato, non in questi termini almeno — spiega Stefano Serena, l’altro titolare — a noi interessava l’obiettivo, a prescindere dalla situazione personale di Martina, volevamo lei per le sue competenze e capacità. Ha lavorato per un’azienda importante sul fronte commerciale, l’abbiamo vista all’opera, sappiamo come si muove. Le auguriamo il meglio per la sua vita personale e la aspettiamo prima possibile».
Risultato: Martina ha firmato una lettera di incarico, documento formale che le garantisce l’assunzione tra cinque mesi, dopo il periodo di maternità. Il contratto prevede infatti che cominci a lavorare tra cinque mesi. «Ho vissuto e capito le difficoltà di mia moglie — confessa Schiavon —, aveva un tempo determinato e quando ha comunicato che aspettava un bambino è stata lasciata a casa. Sul piano lavorativo la maternità è quasi una condanna. Assurdo. Di fronte al valore della persona non ho avuto dubbi. Perché non aspettarla qualche mese se penso che investire su di lei sia la strada giusta?».
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