La situazione in Medio Oriente continua a essere estremamente preoccupante e, mentre Israele e il governo di Netanyahu continuano a procedere con riforme e autorizzazioni a nuovi insediamenti, continuano gli attacchi reciproci che vedono le forze di sicurezza israeliane andare a colpire la Palestina e le milizie della jhiad islamica ribelli insediate nella Striscia di Gaza ma anche nei territori circostanti.
La situazione di Israele è estremamente delicata in quanto il governo continua a sostenere e a portare avanti la riforma giudiziaria che ha visto, anche nella serata di ieri, scendere in piazza centinaia di migliaia di persone a Tel Aviv e nelle altre città israeliane per opporsi fermamente a questa riforma che cambierebbe per sempre la ambito giudiziario israeliano e toglierebbe all’Alta Corte l’imparzialità che caratterizza da sempre l’organismo che deve essere, per avere la funzione designata, al di sopra delle istituzioni statali.
Da quando Netanyahu ha iniziato il suo mandato con l’avvio del 2023 ha stabilito che il suo percorso fosse segnato dalla presenza di ministri ultra conservatori di destra e ha segnato in questa maniera un burrascoso inizio anno per il popolo israeliano che si è ritrovato con estrema paura di una possibile e ormai molto probabile, nuova fase del contrasto tra opposizioni religiose che rischia di sfociare in una reale guerra.
Oltre alla riforma giudiziaria di Levin e alle parole omofobe del ministro Smotrich Israele è stato anche protagonista di una provocazione che ha alzato la tensione ai massimi livelli nei confronti dei fedeli musulmani e di conseguenza tra le fazioni ribelli. Si tratta delle azioni intraprese dal ministro della sicurezza e deputato di ultra destra Ben Gvir. La sua camminata alla Spianata delle moschee ha alzato un polverone tra autorità israeliane e islamiche, dato che è stata attuata puramente per alzate nervosismo e accentuare il contrasto, già presente, tra israeliani e palestinesi.
Le azioni del governo Netanyahu e la presa di posizione dei suoi ministri ha decretato l’inizio di una pericolosa escalation di violenza.
Le provocazioni di Israele hanno alzato il caos tra le autorità islamiche che non hanno accolto di buon grado le azioni messe in campo dal nuovo governo e oltre alle critiche verso Israele hanno ovviamente precisato che non avrebbero tollerato oltre.
Il 26 gennaio dopo che diversi attacchi minori si erano svolti tra le due popolazioni in contrasto le autorità di Tel Aviv hanno deciso di attuare un raid al campo profughi di Jenin. Uno degli attacchi più feroci degli ultimi anni che ha portato alla morte di nove palestinesi e provato di un tetto e dei pochi averi conquistati numerose famiglia.
La risposta palestinese non è tardata ad arrivare e le milizie ribelli hanno contrattacco sferrando due attacchi a discapito di cittadini israeliani ebrei. Nel primo hanno perso la vita diversi israeliani innocenti mentre uscivano dalla sinagoga terminata la preghiera. Il secondo ha ferito un padre e un figlio all’interno di un sito di interesse storico ed è stato messo a segno da un palestinese di 14 anni.
L’odio fomentato dai vertici si è scatenato nei giorni successivi in attacchi sia tramite razzi e via aerea ma anche attacchi in strada con armi da taglio. Chi soffre di più per questa nuova escalation di violenza è la popolazione che vede nuovamente volgere al peggio la propria vita. Non tutti i cittadini si identificano nelle differenze che invece tendono a sottolineare le autorità ma vorrebbero poter vivere serenamente nei propri territori, magari in ambito sociali e contesti differenti, ma in coesione.
Ora la paura di essere colpiti per strada o trovarsi in messo a un attacco aereo. Anche le autorità internazionali, data la potenza delle rappresaglie e il continuo deterioramento dei rapporti statali, hanno scelto di intervenire e una delegazione statunitense ha avuto modo di incontrare i vertici palestinesi ma anche quelli israeliani e la conclusione emersa è che possa scaturire un conflitto pericolosissimo. La visita in Medio Oriente non ha calmato la preoccupazione globale.
Nonostante l’attenzione globale sia tutta focalizzata verso le mosse intraprese da Israele e Palestina sembra che la cosa non sia motivo di preoccupazione per le autorità locali. Si apprende che l’IDF, ovvero le forze di sicurezza israeliane, hanno messo a segno avanti nell’ambito dell’operazione break the waves b 23 palestinesi ritenuti terroristi.
Un cittadino israeliano, professante la religione ebraica, è stato aggredito poco prima delle 12, dopo essere entrato con la sua automobile a Kalandiya situata a Gerusalemme Est. Secondo i media locali l’uomo è stato sottoposto a cure mediche direttamente sul posto.
Il governo ha deciso di rafforzare il presidio delle forze armate a Gerusalemme Est e ha convocato tre squadre di riservisti che si occupavano della zona di frontiera per ampliare maggiormente il controllo nella zona.
Netanyahu ha dichiarato ieri, dopo i ripetuti contrattacchi palestinesi, che: “In risposta agli attacchi terroristici omicidi a Gerusalemme, il gabinetto di sicurezza ha deciso all’unanimità di autorizzare nove comunità in Giudea e Samaria.”
Va precisato che qualche giorno fa il premier israeliano ha annunciato la costruzione di una nuova città al confine con la Striscia di Gaza.
Ha riferito poi in merito a nuovi progetti: “Queste comunità esistono da molti anni, alcune esistono da decenni. Il comitato di pianificazione superiore dell’amministrazione civile sarà convocato nei prossimi giorni per approvare la costruzione di nuove unità residenziali nelle comunità esistenti in Giudea e Samaria”.
Ha precisato inoltre che: “il gabinetto di sicurezza ha preso una serie di decisioni aggiuntive nel quadro della lotta determinata contro il terrorismo, incluso il rafforzamento delle forze di sicurezza a Gerusalemme”.
Le misure introdotte così come le nuove norme di sicurezza vanno applicate nei confronti degli arabi israeliani e ai palestinesi residenti a Gerusalemme est, parte della città annessa da Israele.
Il conflitto ha provocato, soltanto dall’ inizio dell’anno, la morte di almeno 46 palestinesi dall’inizio dell’anno. Tra i deceduti sia combattenti che civili, nove civili israeliani e una donna ucraina, secondo quanto riportato AFP basato su fonti ufficiali israeliane e palestinesi.
Il presidente di Israele Hergoz ha dichiarato le istituzioni israeliane sono sull’orlo dell’implosione ed è necessario attuare un piano che porti a valutare bene le riforme proposte da Netanyahu e dai suoi ministri e ha chiesto che prima di presentarla venissero analizzati cinque punti che ha indicato ai rappresentanti del governo.
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