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Il terribile attentato al museo Bardo di Tunisi che è costato la vita a oltre 20 persone è stato rivendicato dall’Isis, lo stato islamico dell’autoproclamato califfo Abu Bakr al-Baghdadi. Pur non essendoci ancora una rivendicazione ufficiale, molti elementi portano in quella direzione, ma perché colpire la Tunisia? Il paese del Nord Africa è già stato al centro di importanti operazioni antiterrorismo anche negli ultimi mesi: a febbraio lungo il confine con l’Algeria sono stati dispiegate unità di tiratori scelti per fermare i terroristi islamici. Qualche giorno prima la polizia tunisina aveva arrestato 32 persone, pronti a compiere attentati nel paese e che tornavano in patria dopo aver combattuto in Siria. Questo è infatti uno dei motivi principali dell’attentato: la Tunisia è il paese che registra il maggior numero di foreign fighters partiti per la jihad.
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I numeri sono noti allo stesso stato tunisino che da tempo cerca di fermare questa ondata interna, giovani per lo più sotto i trent’anni, disoccupati e diplomati, che aderiscono alla guerra proclamata dall’Isis contro il mondo arabo in primis.
Dei 15mila stranieri che sono entrati a far parte delle milizie jihadiste, si contano almeno 2.400 tunisini partiti per la Siria o per l’Iraq. Il numero potrebbero essere più alto, come riportano fonti stesse del governo, circa 3mila: 450 di loro sarebbero stati uccisi duranti i combattimenti e circa una sessantina dovrebbero essere in carcere in Siria, catturati dall’esercito di Bashar al-Assad.
Sempre fonti del governo, parlano di 9mila fermati alle frontiere prima di imbarcarsi per la guerra in Siria: tra i 400 e i 500 invece quelli che sono rientrati in Tunisia dopo essersi addestrati e aver combattuto per il califfo del terrore.
Perché dei cittadini di fede musulmana (quasi la totalità della popolazione tunisina è di fede islamica) decidono di attaccare il loro Paese? La Tunisia è l’unico paese che è riuscito a portare a compimento le rivoluzioni della primavera araba, deponendo Ben Ali nel gennaio 2011 con la “Rivoluzione dei Gelsomini”.
Questo ha portato a elezioni democratiche, ma non ha certo risolto i problemi endemici del paese, alle prese con disoccupazione e povertà. Lo scontento di una generazione potrebbe aver spinto giovani e meno giovani ad arruolarsi nelle fila dell’Isis, credendo di trovare nello Stato Islamico un’alternativa. Proprio il fatto di essere l’unico Paese ad aver avuto una transizione democratica dopo la Primavera araba, potrebbe aver messo la Tunisia nel mirino dei jihadisti.
La scelta di colpire il museo del Bardo sembra casuale, visto che dalla prima ricostruzione il vero obiettivo era il Parlamento dove si stava tenendo un’audizione delle forze armate a proposito della legge contro il terrorismo. Potrebbe trattarsi di una “vendetta” per aver smantellato qualche cellula di estremisti, ma in ogni caso la novità di un attacco contro civili ha lasciato sgomenti gli stessi tunisini.
Di norma infatti, gli attentati anche recenti erano diretti contro obiettivi militari, mai contro civili e specialmente contro i turisti, una delle fonti di reddito più importante per l’intera nazione. Il giorno prima la ministra del Turismo Selma Ellouni Rekik aveva invitato a visitare il Paese ritenuto sicuro per il turismo. “Quello che succede in Libia non ci aiuta, come avviene sempre, ma le nostre frontiere sono assolutamente impermeabili a qualunque tentativo di infiltrazione. Non c’è nessun problema di sicurezza in Tunisia, è tutto sotto controllo”, aveva dichiarato in un’intervista rilasciata all’Ansa. Dopo l’attentato al museo Bardo, tutto rischia di precipitare.
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