[didascalia fornitore=”Ansa”]Usa, attentato in una chiesa in Texas[/didascalia]
Non ha gridato «Allahu Akbar», Devin Kelley, il killer della chiesa in Texas, autore dell’attentato che ha provocato 26 morti. Secondo la polizia è stato lui, domenica, a fare irruzione nella First Baptist Church, a Sutherland Springs, e ad aprire il fuoco, all’impazzata, contro i fedeli. Prima di morire, dopo essere stato inseguito da due civili. La strage peggiore della storia del Texas, secondo il governatore Greg Abbott.
Devin Kelley, stando alle prime ricostruzioni, non era un fanatico islamico, né un cane sciolto dell’Isis. Era un ex soldato ed era cattolico. Pare che avesse insegnato catechismo e che facesse corsi sulla Bibbia. Kelley soffriva, però, di disturbi mentali. Tanto che era stato congedato dall’esercito per maltrattamenti in famiglia.
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Pochi giorni dopo l’attentato di Manhattan, dove un uomo è piombato con un furgone sulla pista ciclabile uccidendo otto persone, quello sì di matrice islamica, e nella domenica in cui i timori si concentravano sulla maratona di New York, la follia ha colpito un paesino di poche centinaia di anime a una trentina di chilometri da San Antonio. Il classico posto dove pensi che non possa accadere mai niente. E invece all’una e mezza locale, durante la messa nella chiesa battista, un uomo ha fatto irruzione sparando all’impazzata tra i fedeli. Uccidendone 26 e ferendone una ventina. Tra le vittime anche anche 14 bambini (la più piccola di cinque anni), una donna incinta e la figlia 14enne del pastore della chiesa battista. Secondo i testimoni, il killer ha premuto il grilletto con un fucile d’assalto appena prima di entrare in chiesa, indossava una maschera e un giubbotto antiproiettile ed era vestito di nero. Dopo la sparatoria ha tentato la fuga a bordo di un furgoncino chiaro, ma è stato inseguito da due civili che gli hanno sparato. Poi è stato trovato morto dalla polizia all’interno del veicolo, in cui sono state trovate altre armi. In una foto su Facebook, con il profilo con il suo nome, mostra una foto di fucile semiautomatico Ar-15.
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Poche ore dopo la sparatoria, sono emerse le prime indiscrezioni sull’assalitore della chiesa. Secondo la polizia si tratta di Devin Kelley, appunto, cittadino americano ed ex militare dell’esercito. Aveva fatto parte, tra il 2010 e il 2014, dell’Air Force, lavorando presso la base aerea di Holloman, in New Mexico. Poi erano cominciati i guai. Kelley, accusato di maltrattamenti alla moglie e al figlio piccolo, era stato processato presso il tribunale militare, che lo aveva condannato a un anno di carcere. Nel 2014 il soldato era stato prima degradato per cattiva condotta, poi congedato. I media americani riportano anche la testimonianza di un cittadino di Sutherland Springs, Johnathan Castillo, secondo cui Kelley usava aggiungere amici virtuali su Facebook solo per litigarci. Era un attaccabrighe e insultava tutti.
«Sono una persona che lavora duro con impegno», con i «valori dell’Air Force»: così Kelley descriveva se stesso su un profilo Linkedin, dove diceva di essere un professionista di consulenza gestionale di San Antonio e vantava anche i suoi principi cristiani. L’uomo, infatti, insegnava catechismo alla First Baptist Church di Kingsville, a 140 miglia da Sutherland Springs. Inoltre diceva di tenerci agli animali, ai bambini, ai diritti civili e ai diritti umani. Eppure i fatti di domenica confermano i suoi disturbi mentali. «La sparatoria in Texas è stata compiuta da un individuo che aveva enormi problemi mentali, semplicemente uno squilibrato», ha chiosato il presidente Usa Donald Trump.
[didascalia fornitore=”Ansa”]La commemorazione delle vittime della strage di Las Vegas[/didascalia]
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Stati Uniti, i dati sulle armi e i precedenti
«Abbiamo tantissimi problemi mentali nel nostro Paese, non è una questione di armi», ha aggiunto Trump, quasi come volesse sminuire il problema delle armi negli Stati Uniti. Problema che, invece, è enorme. Lo dimostrano i dati e i precedenti. Secondo il Pew Research Center (un istituto americano che fornisce informazioni su problemi sociali, opinione pubblica, andamenti demografici e altro) gli americani possiedono più armi di qualsiasi altro Paese nel mondo. Su 100 cittadini statunitensi, 89 hanno un’arma in casa. E il 48% degli americani è cresciuto in una casa con una pistola nel cassetto, mentre il 66% ne ha più di una.
Le polemiche sulle armi negli Usa erano divampate, feroci, un mese fa, dopo la strage di Las Vegas del primo ottobre, quando Stephen Paddock aveva fatto fuoco durante un concerto uccidendo 58 persone e ferendone 489. La più grave sparatoria nella storia degli Stati Uniti. Peggio anche della strage di Orlando del 2016, quando Omar Mateen, americano di origini afgane, uccise 49 persone all’interno di un locale gay. E del massacro del Virginia Tech del 2007, quando un 23enne di origine coreana ammazzò 32 persone, prima di suicidarsi, nel campus universitario. Senza dimenticare la sparatoria con cui, nel 2012, un ragazzo uccise 26 persone, tra cui 20 bimbi, in una scuola elementare a Newtown, Connecticut. Ma si tratta solo dei casi più eclatanti. Le sparatorie, negli Usa, sono all’ordine del giorno.
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