Il terzo terrorista responsabile dell’attentato a London Bridge e Borough Market, l’italo-marocchino Youssef Zaghba, era stato fermato un anno fa dalla nostra Polizia, segnalato a quella inglese, e soprattutto indagato come sospetto terrorista ma, alla fine, fu rilasciato per insufficienza di prove. La ricostruzione di quanto è accaduto tra il 15 marzo 2016, giorno in cui il 22enne viene bloccato all’aeroporto di Bologna prima di imbarcarsi presumibilmente per la Siria, con tappa a Istanbul, e il 3 giugno 2017 quando muore sotto i colpi della polizia dopo aver causato con gli altri due attentatori 7 morti e 48 feriti a Londra, è nascosta tra le carte bollate dei tribunali italiani: Zaghba fu rilasciato perché le prove non bastarono a identificarlo come un terrorista.
Il quotidiano Repubblica ha seguito le sue tracce, passando dal suo legale, l’avvocato Silvia Moisè che lo difese nel procedimento aperto dopo il fermo in aeroporto. “Non avevo idea di chi fosse“, ha confermato l’avvocato bolognese anche al Resto del Carlino. Lei, insiste, ha fatto solo il suo dovere e ha difeso un ragazzo poco più che ventenne da un’accusa gravissima, quella di essere un presunto terrorista: il rilascio è arrivato perché non c’erano prove sufficienti a sostenere le accuse, cellulare, computer e iPad sono stati dissequestrati e lui è stato libero di andare, come ogni cittadino italiano.
Non poteva sapere che invece il giovane, da lei descritto come “poco loquace, non certo contento di parlare con una donna“, era già entrato in contatto con la galassia jihadista e forse aveva già iniziato a organizzare l’attacco di Londra.
Chi lo ha conosciuto lo descrive come un ragazzo tranquillo, perbene, senza barba o atteggiamenti che facessero sospettare una radicalizzazione. Nato a Fez da Valeria Collina, 68enne italiana convertitatisi all’Islam, e da Mohammed Zaghba, commerciante marocchino di 55 anni, il giovane vive con la famiglia in Marocco fino al 2015, quando il padre inizia a dare segni di radicalizzazione, diventa violento e chiede alla moglie di farlo sposare con una seconda donna. Quando lei rifiuta, l’uomo la ripudia e la donna torna in Italia con l’altra figlia, mentre Youssef rimane a vivere col padre, facendo spola con Bologna dove spesso si reca a trovare la mamma.
È stata la signora Valeria a raccontare tutto agli inquirenti italiani: lei neanche sapeva di quel viaggio in Turchia e poi ormai lui aveva deciso di andare a vivere a Londra per cercare fortuna.
Il fermo in aeroporto
Tutto cambia il 15 marzo 2016 quando Youssef viene fermato dalla Polizia all’aeroporto di Bologna. Non è tanto l’atteggiamento nervoso a insospettire gli agenti quanto quel biglietto di sola andata per Istanbul, uno zainetto come unico bagaglio e i pochissimi soldi nel portafogli: tutto fa pensare che la sua vera meta sia la Siria, col passaggio obbligato (e veloce) per la Turchia dove poi qualcuno lo avrebbe preso e portato oltre confine per unirsi ai miliziani Isis.
Quando il poliziotto gli chiede cosa va a fare in Turchia, la sua prima risposta è incredibile: “Vado a fare il terrorista“, avrebbe detto all’agente, correggendosi subito dopo con “Vado a fare il turista”. Troppo tardi: il sospetto si materializza e Youssef viene fermato. Già in aeroporto gli vengono sequestrati due telefoni cellulari e diverse sim, mentre nell’abitazione della mamma a Castello di Serravalle, a una trentina di chilometri da Bologna, vengono presi in custodia computer e iPad.
Il rilascio e la segnalazione come soggetto pericoloso
A quel punto la posizione di Youssef Zaghba si complica. Secondo fonti investigative sentite da Repubblica, sui suoi dispositivi gli inquirenti avrebbero trovato messaggi di affiliazione all’Isis, ricerche sul web relative allo stato islamico e alla jihad, persino dei video di propaganda. Quanto basta per far scattare il fermo e l’apertura di un fascicolo per terrorismo internazionale: per gli inquirenti Zaghba sarebbe uno dei tanti foreign fighters europei attratti dal messaggio di terrore del presunto Califfato.
Il procedimento però si conclude con un nulla di fatto. Non ci sono prove sufficienti per dimostrare che il 22enne voleva raggiungere la Siria o si fosse affiliato all’Isis e il tribunale lo rilascia.
Zaghba torna libero ma la sua vita è cambiata. Gli agenti italiani ormai lo hanno messo nel mirino e il suo nome viene inserito nel Sis, il sistema informativo della polizia europea dove vengono segnalati soggetti pericolosi in tutta l’area Schengen.
Come spiega sempre Repubblica, il giovane è indicato come persona “sottoposta a vigilanza” nel nostro paese e ogni volta che torna a trovare la madre viene fermato e interrogato. La polizia italiana non molla la presa e l’Aisi, l’Agenzia informazioni e sicurezza interna italiana, manda un fascicolo completo ai servizi inglesi, visto che il giovane vive a Londra, e in Marocco.
Nessuno però sembra aver letto quel fascicolo: dopo l’attentato e la sua morte, Scotland Yard dichiara che Zaghba non era noto alla polizia inglese, mentre il capo della Polizia Italiana Franco Gabrielli conferma che i nostri agenti hanno fatto tutto il possibile. “Abbiamo la coscienza pulita” ha dichiarato Gabrielli a margine del vertice tra le Polizie di nove paesi del Mediterraneo a Lampedusa.
Bisogna quindi capire cosa non ha funzionato in Inghilterra. Secondo quanto riporta la Bbc, Zaghba arrivò a Londra in aeroporto a Stansted e, malgrado fosse indicato nel sistema di Schengen come un potenziale sospetto pericoloso proprio sulla base delle segnalazioni italiane, fu fatto entrare nel paese senza altri controlli.
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