L’Istituto Superiore della Sanità mette in guardia in merito alla febbre del West Nile, i cui casi sono raddoppiati in una settimana.
In particolare si sono verificati due decessi in Lombardia nelle scorse ore, seguiti poi da uno in Emilia-Romagna. A questi numeri si aggiungono gli oltre 90 casi segnalati nel nostro Paese quindi quella che fino a poco tempo fa sembrava una malattia di poco conto, si sta davvero rivelando per la gravità che è.
Il virus della febbre del West Nile conta sempre più casi nel nostro Paese, precisamente siamo a 94 contagi confermati dall’inizio di maggio, quando sono iniziati i rilevamenti. In una settimana tuttavia c’è stato il boom dei contagi e i casi sono raddoppiati, infatti erano 55 nel precedente bollettino del 10 agosto.
Tra quelli certi ci sono 3 decessi, 2 in Lombardia e 1 in Emilia-Romagna.
La notizia è stata diffusa poco fa dall’Istituto Superiore di Sanità, che ha fornito alcuni dettagli, ad esempio sono 41 le province dove la febbre circola di più, facenti parte di 8 regioni: Piemonte, Sicilia, Puglia, Emilia-Romagna, Sardegna, Lombardia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia.
L’allerta è alta e fra i casi in Italia, 52 si sono presentati nella forma che invade a livello neuronale, poi c’è stato un caso di contagio dopo un viaggio in Ungheria, ancora, sono 26 i casi in cui il West Nile è stato trasmesso da donatori di sangue.
Solo 16 casi si sono manifestati con la classica febbre. Le autorità sanitarie ricordano che il primo caso di infezione della stagione estiva è stato evidenziato a Parma nel mese di luglio, contemporaneamente un altro virus ha allertato l’Iss, un caso di Usutu segnalato a Novara nel medesimo periodo.
Gli esperti la identificano come febbre ma non sempre si presenta solo in questo modo e di certo non se ne va via con del semplice paracetamolo ma ci vogliono cure più intense. Questa malattia prende il nome da un virus che è stato isolato per la prima volta nel 1937.
Si tratta appunto del virus West Nile, trovato in Uganda negli anni Trenta nel distretto da cui ha preso il nome. Oggi è diffuso in Africa, Europa, Asia occidentale, America e Australia, praticamente quasi ovunque.
A fungere da serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare, le cui punture sono il mezzo di trasmissione principale verso l’uomo. Però questa febbre può entrare in contatto con noi anche con il trapianto di organi e con le trasfusioni di sangue, anche se si tratta di casi più rari. Addirittura può essere trasmessa dalla madre in gravidanza al feto che porta in grembo.
È importante ricordare però che la malattia non può essere trasmessa dalle persone infette a quelle sane tramite il contatto, al contrario di altre patologie.
Oltre agli animali citati, la febbre West Nile può contagiare anche gli equini, i conigli e gli animali domestici come gatti e cani.
Ha un’incubazione che può durare fino a 2 settimane ma arriva in alcuni casi anche a 21 giorni nei soggetti che hanno un sistema immunitario particolarmente fragile. Nella maggior parte dei casi non abbiamo sintomi, quando invece questi sopraggiungono, sono costituiti da febbre, mal di testa, vomito, linfonodi ingrossati, sfoghi della pelle e nausea, il tutto guaribile in pochi giorni.
Però poi ci sono casi più complessi, come i tre decessi riportati in questo articolo, dove i sintomi sono più forti e i soggetti particolarmente debilitati. Teniamo conto che a incidere è anche l’età della persona infettata e i sintomi possono anche provocare danni neurologici seri come encefaliti letali.
Insomma è una malattia ad ampio spettro che può avere decorsi differenti ed essere lieve, grave o letale. La diagnosi avviene tramite test in laboratorio e al momento non esistono vaccini. Questi sono in fase di studio e al momento l’unico modo per evitare la febbre West Nile è ridurre l’esposizione alle punture di zanzare con repellenti, zanzariere alle finestre di casa ed evitando acqua stagnante come quella che si crea in vasi, piscine e ciotole dell’acqua per gli animali.
Così come non ci sono farmaci specifici, non c’è nemmeno una terapia particolare: i casi più gravi – ovvero dove i sintomi non scompaiono nel giro di pochi giorni.
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