[didascalia fornitore=”ansa”]Palazzo della Corte Costituzionale[/didascalia]
Novità sull’aumento delle pensioni nel 2018. Nella giornata di oggi 24 ottobre 2017, la Corte costituzionale è chiamata a decidere sulla mancata o ridotta indicizzazione delle pensioni, e nello specifico, sulle nuove regole messe a punto dal Governo Renzi, con il Decreto Legge 65/2015, in risposta alla bocciatura delle norme precedenti arrivata sempre dalla Consulta con la Sentenza 70/2015. Due anni fa, la Corte aveva infatti dichiarato la illegittimità costituzionale delle disposizioni in materia di pensioni volute dall’allora Ministro Fornero, che avevano escluso, per gli anni 2012 e 2013, la rivalutazione automatica di tutte le pensioni di importo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS dell’anno rivalutato, ovvero 1.443 euro mensili lordi.
Com’è noto, a seguito dell’entrata in vigore delle norme di cui all’articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, su un totale di 16.533.152 pensionati (27,56% della popolazione italiana), non è stato corrisposto l’adeguamento della rivalutazione sugli importi pensionistici a oltre 5,2 milioni di pensionati (8,7% popolazione italiana), in pratica un pensionato su tre. In seguito alla sentenza n. 70 del 2015, il Governo è intervenuto con il decreto legge del 21 maggio 2015 n. 65, procedendo ad una parziale restituzione degli arretrati e ad una limitata ricostruzione delle pensioni.
Tanti sperano vengano quindi riconosciuti i diritti di tutti quei pensionati che hanno visto ridotto il potere d’acquisto e sviliti anni di lavoro con il versamento di contributi previdenziali. Anche Giorgio Ambrogioni, presidente di Cida, la confederazione dei dirigenti e delle alte professionalità pubbliche e private, è intervenuto con un commento alla decisione che la Corte Costituzionale prenderà oggi sulla rivalutazione delle pensioni.
“Cida – ha aggiunto Ambrogioni – è perfettamente consapevole che vi sono vincoli di spesa pubblica in cui rientra quella pensionistica, ma il criterio del risparmio e del rigore non può essere applicato sempre nei confronti dei percettori di reddito fisso in generale e dei pensionati in particolare. I dati in nostro possesso indicano che non vi è alcun rischio-avvitamento per il bilancio dell’Inps, una volta che si distingua la spesa per le pensioni dalla spesa per l’assistenza, che va posta a carico della fiscalità generale”.
“Abbiamo deciso – prosegue il presidente – di assistere e sostenere i nostri iscritti nei ricorsi alla Consulta perché si tratta di una battaglia di civiltà. Da troppi anni manager e dirigenti pensionati, ma anche pensionati ex quadri e tecnici, sono chiamati a sacrifici e decurtazioni del proprio reddito che si sommano a una pressione fiscale fattasi opprimente. Come dimostrano i dati di importanti studi di ricerca, la nostra categoria rientra in quel 12% di italiani che versa al fisco oltre il 54% dell’Irpef complessiva”.
L’appello ai giudici della Corte Costituzionale sulla rivalutazione delle pensioni “nasce da queste premesse e vuole restituire la tranquillità economica a chi ha lasciato il lavoro con delle precise aspettative di reddito che, poi, vengono scardinate dal legislatore”, ha sottolineato Ambrogioni.
“Ci aspettiamo che la Consulta sia coerente con la sentenza precedente e riaffermi la necessità di rimborsi secondo le norme precedenti il salva Italia. Nel 2015 il governo restituì solo una minima parte del dovuto, speriamo si torni all’origine”, commenta il segretario confederale Uil, Domenico Proietti mentre la Cgil mette in guardia il governo.
“La sentenza avrà un impatto importante. Qualunque sia l’esito perciò va valutato nei riflessi che determinerà e correttamente gestito: la sentenza cioè non dovrà essere usata come pretesto per non dare quelle risposte sulla fase due della riforma delle pensioni che chiediamo al Governo”, riflette il segretario confederale Roberto Ghiselli con riferimento alla richiesta sindacale di congelamento dell’aumento automatico dell’età pensionabile collegato alle aspettative di vita.
Dal 2019 la legge prevede il ritorno ai meccanismi di indicizzazione previsti da una norma del 2000 secondo cui l’adeguamento sarà pari al 100% degli indici Istat per gli importi fino a 3 volte il minimo, del 90% tra 3 e 5 volte il minimo Inps e del 75% per gli importi oltre le 5 volte. Per saperne di più clicca l’articolo PENSIONI PIU’ ALTE DAL 2019: COME CAMBIA IL MECCANISMO DI RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI
Alla vigilia della decisione della Corte Costituzionale, a commentare i fatti è intervenuto anche Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, con una nota nella quale sostiene che: “L’effetto trascinamento implica che i titolari di pensioni superiori a 1.443 euro mensili lordi percepiranno, vita natural durante, un assegno pensionistico inferiore a quello che sarebbe loro spettato (ad esempio: circa 90 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 1.500 euro mensili lordi; circa 160 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 3.000 euro mensili lordi; circa 330 euro mensili in meno per i titolari di pensioni pari a 6.000 euro mensili lordi)”.
Brunetta prosegue: “Il provvedimento del Governo arreca quindi un grave e permanente pregiudizio a fasce della popolazione particolarmente deboli e “indifese”, che non dispongono di strumenti di pressione o di reazione efficaci (come ad esempio lo sciopero). Forza Italia da tempo chiede al Governo, anche attraverso specifici atti parlamentari, di assumere iniziative per offrire piena ed effettiva attuazione alla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, prevedendo a favore dei titolari di pensione colpiti dal blocco previsto dal DL 201/2011, l’integrale restituzione degli importi maturati per effetto del ripristino della perequazione e la ricostruzione del trattamento pensionistico. A questo punto attendiamo fiduciosi il giudizio della Consulta, che dovrà costringere una volta per tutte il Governo a porre rimedio alla grave ingiustizia perpetrata nei confronti di una così vasta platea di cittadini”.
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