Durante la conferenza Stato-Regioni di qualche giorno fa, è stata presentata la bozza di riforma che disciplina la riforma dell’autonomia differenziata dal ministro Calderoli.
Vincenzo De Luca ha parlato di provvedimento che “spacca in due il Paese“, mentre Salvini durante la conferenza regionale a Bergamo parla di “diritto sacrosanto per la Lombardia”. Cosa potrebbe cambiare per le Regioni e cosa si intende per autonomia differenziata.
Il terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, dopo la modifica del 2001, prevede che una serie di materie – tra cui norme sull’istruzione, tutela dell’ambiente, beni culturali, rapporti con l’Ue, commercio estero, tutela del lavoro e delle professioni, salute e reti di trasporto, casse di risparmio, casse rurali, enti di credito fondiario e agrario – possano essere delegate alla competenza diretta della singola Regione a statuto ordinario.
La bozza di riforma presenta da Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali in quota Lega del governo di Giorgia Meloni, prevede che le varie Regioni possano trasferire queste materie agli enti amministrativi più vicini ai cittadini ossia Comuni e Province, ma soprattutto non fissa Lep (livelli essenziali delle prestazioni) e questo rappresenta uno dei punti più controversi.
I Lep, ossia i servizi che lo Stato garantisce in maniera uniforme ai cittadini indipendentemente dal luogo di residenza ed eroga le risorse necessarie agli enti locali, garantirebbero alle Regioni più povere (la maggior parte del Mezzogiorno) un livello minimo, indipendentemente dai livelli raggiunti dalle Regioni più ricche.
L’esecutivo avrà 12 mesi per determinare i Lep, che dovranno essere rispettati dalle Regioni nella gestione delle loro competenze. Trascorsi i 12 mesi senza definizione dei Lep da parte del governo, le varie competenze passeranno direttamente ai presidenti di Regione.
Ma anche il capitolo finanziamenti ha generato grandi polemiche. La riforma stabilirebbe che le risorse alle Regioni verrebbero assegnate tramite il criterio della spesa storica. E a vantaggio ovviamente delle Regioni più ricche con una serie di servizi che quelle più povere spesso non hanno.
Dunque, chi più ha speso nei servizi corrispondenti alle funzioni da assegnare, più riceverà. Non solo, perché i fondi verranno approvati da una commissione Stato-Regione paritetica. La bozza di riforma mira, infatti, all’approvazione immediata e in tempi strettissimi di tutte le proposte, attraverso un confronto tra presidente del Consiglio e di Regione interessata, non permettendo al Parlamento – secondo Michele Emiliano, presidente della Puglia – di incidere sull’intesa una volta sottoscritta.
Proprio il presidente della Regione Puglia insieme a Vincenzo De Luca, governatore della Campania, è stato tra quelli che più si sono opposti alla riforma. Calderoli continua invece a parlare di “Nessuna spaccatura tra Nord e Sud” e ad augurarsi che tutti possano trarre vantaggio.
Ma di fatto le uniche crepe che l’ideatore della legge è riuscito con la sua bozza a sanare sono state le vedute di diversi presidenti di Regione, per la prima volta quasi miracolosamente d’accordo e uniti sulla questione in una presa di posizione unica.
Sale la preoccupazione che la spesa storica possa rappresentare un modo, per le regioni nel centro Nord, di tenere le risorse prodotte all’interno di ciascuna regione, in un Mezzogiorno che non dispone dei servizi del resto del Paese.
Lo scenario di un Paese duale spaventa Emiliano che si è già associato con De Luca, insieme da soli rappresenterebbero il 50% della popolazione del Mezzogiorno, e al momento rappresenta la testa dell’ariete anche per altri colleghi sulla questione. Una riforma spacca Italia secondo il governatore campano, che “genera il caos e spacca in due il Paese”.
Anche la Calabria e l’Abruzzo del centrodestra hanno sottolineato che senza l’attuazione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) non è possibile concedere forme ulteriori di autonomia soprattutto nella sanità, nell’istruzione e nelle infrastrutture.
Mentre Matteo Salvini da Bergamo confida nella proposta e parla di autonomia come “sacrosanto diritto” per la Lombardia, sempre De Luca ha chiesto immediatamente il ritiro del disegno di Legge promettendo un fronte comune insieme alla già citata Puglia, alla Calabria, al Lazio, all’Abruzzo, al Molise e alla Basilicata.
A favore invece Renato Schifani, neogovernatore della Sicilia, o almeno è quanto dichiarato dal suo vice Sammartino che ha partecipato come delegato rappresentando la Sicilia alla conferenza Stato-Regioni. Il vicepresidente si è detto “favorevole” ma con riserva, sottolineando che bisognerà tutelare gli interessi dell’Isola e colmare il gap tra le Regioni del Sud e il resto del Paese.
Al leader del Carroccio si associano ovviamente Luca Zaia del Veneto e Attilio Fontana della Lombardia insieme a Giovanni Toti della Liguria; ma anche i democratici Stefano Bonaccini, neo candidato alla segreteria del Pd e governatore dell’Emilia-Romagna ed Eugenio Giani, presidente della Toscana.
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