Rosi nella villetta la sera dell’omicidio
Una settimana prima di uccidere la moglie, l’aveva picchiata con violenza, ancora una volta. Francesco Rosi, agente immobiliare di 43 anni, ha ucciso la moglie, Raffaella Presta, avvocatessa di 40 anni, nella loro villa di Perugia il 25 novembre. Ha sparato contro la donna mentre il figlio di 6 anni era in un’altra stanza, due colpi con il fucile da caccia che teneva sotto il letto. Otto giorni prima l’aveva aggredita e lei si era scattata un selfie con il volto tumefatto dalle botte, mandato al fratello e a un’amica tramite WhatsApp con una sim segreta: secondo quanto ricostruisce il Corriere della Sera, l’uomo era talmente geloso e ossessionato dall’idea di perderla che Raffaella si era presa un secondo numero di cellulare con cui comunicare con amici e parenti.
Il caso di Perugia è l’ennesimo femmicidio che si consuma tra le pareti di casa all’interno di una coppia. Rosi è in carcere dalla scorsa settimana: ha chiamato lui i Carabinieri, dopo aver affidato il figlio alla sorella che abita nella villetta accanto, e si è fatto trovare fuori dal cancelletto di casa. “Ho sparato a mia moglie, venite ad arrestarmi”, ha detto al telefono. Le indagini sono ancora in corso perché il Pm Valentina Manuali ha contestato l’aggravante della premeditazione. Rosi ha sparato usando il fucile che teneva sotto il letto, carico e pronto all’uso e avrebbe programmato l’omicidio della moglie, forse perché lo tradiva e temeva che lei lo lasciasse.
La difesa, affidata all’avvocato Luca Maori (noto a Perugia per aver difeso anche Raffaele Sollecito), è riuscita a far cadere l’aggravante: il Gip ha riconosciuto che l’arma si trovava da tempo in casa e che Rosi la teneva sotto il letto per usarla in caso di furto (due i tentativi che la famiglia aveva subito secondo la ricostruzione di Tuttoggi.it).
Il movente è da ricercare all’interno della coppia e quella foto, ritrovata dagli inquirenti e mostrata a Rosi in fase di interrogatorio, dice molto sul clima di violenza e terrore in cui viveva Raffaella. Il marito l’aveva fatta seguire da un investigatore perché sospettava un tradimento; prima però l’aveva costretta a lasciare lo studio legale dove esercitava per stare a casa. I colleghi e la titolare sapevano che qualcosa non andava: Raffaella spesso doveva saltare il lavoro perché i segni delle percosse erano troppo evidenti.
Anche l’autopsia ha confermato le botte. Raffaella aveva un timpano rotto, segno delle percosse al volto, ed è stata raggiunta da due colpi di pallottola, il primo all’inguine, il secondo alla spalla. Ha tentato di difendersi, cercando di deviare il secondo proiettile, come dimostrerebbe la profonda ferita riportata alla mano: il marito ha sparato il colpo fatale quando lei era di spalle, mentre cercava di scappare.
Dei litigi e delle botte erano al corrente anche gli amici e i parenti più vicini che l’avevano esortata a denunciare. Quel selfie forse era stato il primo passo verso la denuncia, ma Raffaella non poteva sapere che era troppo tardi e che una settimana dopo sarebbe stata uccisa a colpi di fucile dall’uomo che aveva sposato.
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