Bambino cardiopatico perde la vita durante una gita: per il giudice è responsabile la professoressa che era a conoscenza della sua patologia.
Un ragazzo di 13 anni, cardiopatico, morì durante una gita con la sua classe. Per il pubblico ministero che si sta occupando del caso – avvenuto nel 2014 – è la professoressa. Secondo il giudice, l’insegnante conosceva bene le condizioni di salute del bambino e, ciononostante, lo avrebbe costretto a fare uno sforzo, visto che dovette salire i 40 gradini che conducevano fino alla sala civica del Comune di Villanuova sul Clisi, a Brescia.
Il giudice ha chiesto otto mesi per la professoressa che portò in gita la sua classe a Brescia, precisamente verso la sala civica del Comune di Villanuova sul Clisi, durante la quale un suo alunno, di 13 anni e cardiopatico, di nome Alessio Quaini, morì. Per il pm, il ragazzino fece un enorme sforzo per salire le scale che conducevano al posto.
L’insegnante, secondo il pm, conosceva bene le condizioni di salute del bambino, pertanto dovrebbe essere ritenuta responsabile del decesso dell’alunno che soffriva di una malattia cardiaca.
La situazione venuta a delinearsi è molto delicata: contrari alla posizione del giudice, ci sono gli avvocati della donna che sostengono una versione diversa dei fatti in relazione alla morte del bambino.
I medici che avevano in cura il giovane Alessio affermano che, prima della morte del ragazzo, era stato installato un defibrillatore al fine di evitare episodi di emergenza non gestibili in tempo utile.
Però, quella salita sui gradini, per il ragazzo, è stata fatale, visto che lo avrebbe portato a uno stato di sofferenza notevole, fino a condurlo alla morte. Gli avvocati della difesa, però, sostengono che il ragazzo aveva già partecipato a una gita simile.
Nello specifico, i legali della professoressa sostengono che il 13enne aveva preso parte a una gita al Vittoriale, luogo ricco di scale e salite da fare al fine di poterlo raggiungere.
Inoltre, gli avvocati sostengono che il defibrillatore del giovane poteva essere esaminato, per capire l’andamento dell’aritmia. Il pm, però, insiste sul fatto che, essendo a conoscenza dello stato di salute del bambino, la professoressa avrebbe dovuto tutelarlo.
La difesa, inoltre, ha sottolineato che a scuola non era stata presentata certificazione medica al riguardo delle condizioni del piccolo, pertanto ha chiesto l’assoluzione perché il fatto – secondo gli avvocati – non sussisterebbe.
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