Un bambino di undici anni fa tremare i criminali della ‘ndrangheta a Reggio Calabria. Dopo l’arresto del padre e la decisione della madre di collaborare, anche il ragazzino ha deciso di dare il suo contributo raccontando tutto quello che sa. La sua testimonianza è stata scritta nei verbali delle dichiarazioni che ha dato davanti al sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria Giulia Pantano. Da quattro mesi il bambino vive lontano dalla Calabria, in una località protetta, con un altro nome, insieme ai due fratelli più piccoli e alla madre.
Il ragazzino è il figlio maggiore di Gregorio Malvaso, 37 anni, capo della cosca di San Ferdinando, arrestato ad ottobre dell’anno scorso dai carabinieri nell’ambito dell’operazione Eclissi. E’ stato abituato, riporta Repubblica, a maneggiare pistole sin da quando era piccolo piccolo, sa bene cos’è la droga e come si chiede il pizzo. Il suo era un destino segnato, sarebbe diventato uno di loro, un picciotto delle ‘ndrine, ma ha deciso di invertire la rotta.
”Mio papà faceva parte di questa cosca, il capo era Nando Cimato. Si sapeva, era lui che dava gli ordini, più i Bellocco.Papà faceva quello che voleva all’interno della cosca, era il braccio destro del capo”, comincia a raccontare il ragazzino fornendo agli inquirenti l’organigramma preciso della cosca, indicando nomi e cognomi di tutti e i rispettivi ruoli.
Da quattro mesi il ragazzino sotto falso nome vive lontano dalla Calabria, in una località protetta, insieme ai due fratellini più piccoli e alla madre che si è dissociata dagli affari di famiglia dopo aver saputo del coinvolgimento del figlio minore: ”Mi trovo qui per i miei figli – ha detto chiedendo di poter parlare con i pm della dda di Reggio Calabria – non voglio che crescano secondo ideali e valori sbagliati come quelli che sono stati finora impartiti loro dal padre. Ero a conoscenza del fatto che mio figlio maneggiasse armi, ma non potevo impormi con il mio compagno perché non so che fine avrei fatto. Il mio compagno è un tipo pericoloso per sé e per gli altri”. In caso di rinvio a giudizio il giovanissimo pentito potrebbe trovarsi faccia a faccia con suo padre.
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