Quello che sta per arrivare sarà sicuramente un 25 aprile diverso dal solito. Ricorre infatti in quel giorno l’anniversario della liberazione d’Italia (anche chiamato festa della Liberazione) dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista. Se ogni anno cortei e manifestazioni di cittadini e studenti riempiono le piazze per i festeggiamenti e il ricordo, quest’anno l’emergenza sanitaria di coronavirus renderà quelle piazze tristemente vuote. Per questo l’ANPI (l’associazione nazionale partigiani italiani) ha lanciato il flash mob #bellaciaoinognicasa, invitando gli italiani reclusi in casa ad unirsi nel canto collettivo della famosa Bella ciao alle ore 15.
L’invito è stato rilanciato anche dalla raccolta fondi a favore della Caritas Italiana e della Croce Rossa Italiana, della campagna “25 aprile 2020 #iorestolibero”. Il traslare la festa nazionale di liberazione nella lotta e nella resistenza al Coronavirus poteva sembrare un’iniziativa ecumenica ed universale, capace di unire idealmente tutti gli italiani contro un nemico subdolo e terribile; ma così non è stato.
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Immediatamente si sono sollevate le proteste da destra, dapprima con Fratelli d’Italia che giudica la festa di liberazione “divisiva” ed ha proposto di modificare il tema della ricorrenza, dedicandola “ai caduti di tutte le guerre”, sostituendo Bella Ciao con La canzone del Piave. La proposta è piaciuta ai movimenti di estrema destra come Forza nuova e “Noi siamo il popolo!”, che hanno proposto anche di scendere in piazza, sfidando il lockdown, per completare la riappriopriazione nera di tale festa.
La storia di Bella Ciao
Perché tra i simboli più detestati da una certa destra c’è proprio Bella ciao? Proviamo a capirlo.
Bella ciao è un canto popolare italiano, diventato famoso dopo la Resistenza perché idealmente associato al movimento partigiano italiano. Nonostante sia un canto popolare italiano, legato a vicende nazionali, i suoi riferimenti alti alla lotta per la libertà lo hanno reso noto in molte parti d’Europa come canto di ribellione contro la dittatura.
La storia di tale celebre canzone è ancora oggi avvolta nel mistero. Nel tempo, molti studiosi ne hanno indagato le origini e tra questi troviamo Carlo Pestelli, musicista, cantautore e dottore di ricerca in Storia. In tali ricerche è stato documentato che il ritornello di questa canzone sia stato suonato e inciso già nel 1919 a New York in un 78 giri con il titolo “Klezmer-Yiddish swing music”.
Secondo alcune tradizioni orali, Bella ciao venne intonata la prima volta, riprendendo alcuni elementi dalle canzoni popolari contadine del Nord Italia, in alcuni reparti combattenti di Reggio Emilia e del modenese, nella leggendaria Brigata Maiella e in altri gruppi partigiani delle Langhe, delle Alpi Apuane e del Reatino. La sua diffusione nel periodo della lotta partigiana era minima, tanto è vero che acquistò successo solo nel 1947, durante il primo Festival mondiale della gioventù e degli studenti, tenutosi a Praga, quando un gruppo di ex combattenti provenienti dall’Emilia, grazie al ritmo ed al battimani corale, la impose al centro dell’attenzione.
Con il periodo delle manifestazioni studentesche degli anni ’60 e ‘70, tale canzone di lotta riuscì a diffondersi rapidamente tra le masse, grazie anche alle prime incisioni di cantanti di successo. Nel 1963 venne eseguita dal grande Giorgio Gaber nella trasmissione Canzoniere, nel 1971 da Milva a Canzonissima ed in quegli anni il cantautore italiano naturalizzato francese Yves Montand la rese famosa anche Oltralpe. Il suo significato eversivo divenne internazionale anche quando nel 1969 costò la censura al cantautore Adolfo Celdrán nella Spagna franchista. Rifacendoci al lavoro storico di Eric Hobsbawm che spiegava come molte tradizioni che ci appaiano, o si pretendano, antiche, abbiano spesso un’origine piuttosto recente, e talvolta siano inventate di sana pianta (come ad esempio il kilt degli scozzesi), Bella ciao diventò così l’inno della Resistenza mediante “l’invenzione di una tradizione”.
La storia della resistenza e i suoi canti
La resistenza italiana al nazifascismo fu un fenomeno estremamente frammentato, sia dal punto di vista territoriale che da quello ideologico. Le anime della resistenza furono diverse: dei circa 200mila partigiani, un terzo veniva dall’area cattolica, un terzo dal fronte azionista (liberale), socialista e repubblicano ed un terzo era formato da brigate comuniste. Ogni raggruppamento, banda o brigata, cantava le sue canzoni, che al massimo filtravano nelle zone immediatamente adiacenti.
Se a sinistra si prediligevano canzoni che parlavano di bandiere rosse e del “sol dell’avvenir”, negli schieramenti repubblicani ed azionisti si invocava la Patria, in quelli cattolici l’unione e la solidarietà, in altri la casa reale. Tutti questi canti però avevano un fattore comune: il ritorno alla libertà. Infatti la lotta partigiana fu una lotta che coinvolse tutti gli schieramenti politici contrari alla dittatura: da sinistra, al centro ed alla destra liberale, dai cattolici ai laici, dai monarchici ai repubblicani.
Per questo alla fine della guerra si sentì il bisogno di trovare un inno che potesse celebrare in maniera discreta i valori della Resistenza senza offendere nessuno, un canto accettabile da tutti per il suo contenuto esclusivamente patriottico e con riferimenti universali: la ricerca della libertà. Per questo, anche nei momenti di egemonia culturale della sinistra sul tema resistenza, Bella ciao risuonava nei congressi della Democrazia Cristiana di Zaccagnini senza alcuna polemica.
La Resistenza ebbe un bisogno disperato della mediazione delle componenti borghesi e liberali per presentarsi in piena forza al momento dell’insurrezione finale, e questo fu vissuto con un certo imbarazzo dai sostenitori di una ricostruzione storica di sinistra quantomeno parziale. Per questo Bella ciao ebbe successo in qualsiasi occasione: univa dove altri volevano dividere.
Come diceva lo storico Claudio Pavone, Bella ciao abbracciava tutte le facce della Resistenza tanto che persino Gianpaolo Pansa, autore di un contestatissimo saggio storico sui crimini della lotta partigiana, ne celebrava le lodi. Il successo era dovuto al fatto di essere una sorta di bignami che tiene conto di tante cose, una ‘canzone gomitolo’ in cui si riuniscono molti fili, come recita lo storico Enrico Strobino.
Bella Ciao nel mondo di oggi
Al giorno d’oggi Bella ciao è uno dei testi più conosciuti, tradotti e cantati a livello mondiale. Nel corso degli ultimi decenni un numero sempre crescente di cantanti e di personaggi dello spettacolo l’hanno riprodotta in varie occasioni: da Goran Bregovic a Woody Allen, dall’americano Tom Waits alla greca Maria Farantouri, dai Modena City Ramblers ai Swingle Singers, da Manu Chao a Tosca, dal bellissimo duetto di Marlene Kuntz & Skin agli inglesi Chumbawamba.
Grazie al successo della famosa serie tv spagnola “La Casa di Carta” che ha fatto di Bella ciao la colonna sonora dell’impresa sovversiva dei suoi protagonisti, il canto della Resistenza italiana è entrato nei teleschermi di tutto il mondo. Ed il remix del famoso DJ Steve Aoki, ne ha sdonagato la melodia anche nelle discoteche e nei festival di musica elettronica.
Questa diffusione virale ha fatto in modo che Bella ciao sia stata intonata nel corso degli anni da tutti i maggiori movimenti di resistenza e di lotta civile: dalle comunità zapatiste in Chapas alle rivolte per la libertà contro il dominio cinese ad Hong Kong, dai ribelli e dagli dagli indipendentisti curdi in Siria ai manifestanti della rivoluzione sudanese dello scorso anno, dai manifestanti cileni contro il governo Piñera agli indipendentisti catalani e baschi, dalle manifestazioni contro Erdoğan in Piazza Taksim ad Istanbul a quelle del movimento Occupy Wall Street e degli “indignados”. Fino a diventare persino, mutuando le parole ma mantenendone la melodia, l’inno del movimento ambientalista “Friday for Future” lanciato dalla giovane attivista Greta Thunberg.
Quello che ha permesso a Bella Ciao di diventare una canzone universale, non necessariamente legata al mondo della Resistenza italiana, è il fatto di avere valori universali di libertà e opposizione alle dittature e alla guerra, senza riferimenti politici o religiosi.
Anche il nemico presente nella canzone non ha accezioni politiche: lo si connota esclusivamente come “l’invasore”, senza riferimenti. Ed il fiore, presente nelle ultime strofe, non è rosso e non è un garofano, ma semplicemente un fiore. Un bel fiore.
Il fatto che venga usata come colonna sonora da serie tv o che risuoni in luoghi lontani dall’immaginario resistenziale, come le discoteche, non dovrebbe scandalizzare o deludere qualcuno. Bella ciao è ormai una canzone che ha superato i confini e gli steccati ideologici, che ha portato in tutte le latitudini la storia della lotta contro un invasore e della morte di un uomo che combatte per la libertà. E forse questo è il migliore omaggio che si possa fare alla Resistenza, rendere immortale questa storia di estremo sacrificio. Perché come diceva uno dei maggiori protagonisti della lotta partigiana, Pietro Calamandrei: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra costituzione”.