Benno Neumair, il 31enne che un paio di anni fa uccise entrami i genitori, è stato condannato all’ergastolo. Per la Corte d’Assise non era assolutamente vero che l’uomo, all’epoca dei fatti, non fosse capace di intendere e di volere: era perfettamente cosciente, consapevole di quello che stava facendo. Ecco cosa ha portato la Corte a esprimersi in tal senso e qual è il quadro emerso dopo il processo.
Senza scrupoli, pronto a tutto pur di affermare il suo io – un io sporco di poca (se non assente) empatia, di egocentrismo malato, di incapacità di provare sentimenti puri – subdolo: questo è (parte del) quadro di Benno Neumair emerso dopo il processo. Ma attenzione: scavando nel suo passato è stato trovato del marcio anche prima del duplice omicidio dei genitori.
La famiglia dovrebbe essere per tutti un luogo sicuro. Un riparo, nel vero senso della parola. “Non ho una madre, un fratello, dei parenti da cui trovar rifugio in questa mia sciagura”, recitava la Medea di Euripide. Sì, perché – senza voler prendere lei come esempio di vita per ovvi motivi – è sempre stato questo il significato della parola famiglia.
Eppure ci sono casi in cui questa è vista come un ostacolo da aggirare, come un impedimento quasi di cui liberarsi. Questo è quello che è accaduto anche a Benno Neumair? Probabilmente sì. Ma per capire meglio la sua storia dobbiamo fare un balzo nel passato e capire cosa accadde esattamente un paio di anni fa.
5 gennaio. Un giovane laureato in scienze motorie e supplente di matematica in una scuola media di Bolzano si reca presso la caserma dei carabinieri. I suoi genitori – Laura Perselli e Peter Neumair – sono scomparsi da un giorno. Entrambi sono stati insegnanti, come lui in pratica, ma sono in pensione. Hanno rispettivamente 68 e 63 anni, vogliono dedicarsi a sé stessi, godersi il loro tempo libero. E così, ogni volta che possono, iniziano a camminare e camminare e percorrere tratti lunghissimi verso la loro libertà. Ecco perché, quando la notizia della loro sparizione improvvisa inizia a circolare, tutti pensano a una sola soluzione: un incidente.
Caso vuole che, poche ore prima, viene registrata una frana nella stessa zona in cui i coniugi abitano: un costone ha distrutto un’ala dell’hotel Eberle e c’è chi sospetta e teme che proprio loro due possano esserne rimasti vittime. Non era così: già la sera del 4 gennaio entrambi i loro cellulari erano stati spenti, quindi deve essere quella la data e l’ora della loro morte e poi sotto le macerie della frana dei loro corpi non c’è neanche l’ombra.
Inizia allora la caccia al colpevole. Tolta la prima ipotesi, ne resta solo un’altra: il figlio. Lo stesso uomo che la madre aveva definito una bestia e che aveva affermato di temere, parlando con un’amica, non molto tempo prima. La persona a cui aveva dato la vita circa 30 anni prima era cioè anche la stessa che le stava dando dei motivi per avere paura.
I carabinieri capiscono immediatamente di avere davanti a loro una strada da percorrere, che sarebbe stata sicuramente irta di pericoli, di dossi, di curve. La stessa li porta infatti a scoprire che l’uomo con cui hanno a che fare, tornato da poco a vivere con i genitori, solo pochi mesi prima era stato ricoverato in Germania in seguito a un acuto episodio psichiatrico.
Benno, però, è molto furbo. Non permettetevi di chiamarlo “malato”, “incapace di intendere e di volere”, perché nella sua corsa verso l’eliminazione di ogni ostacolo al suo essere (i genitori) non c’è posto per alcun barlume di follia, ma c’è spazio solo per i suoi calcoli freddi, come la morte di Laura e Peter.
Ma torniamo al racconto. Siamo ancora a gennaio e Naumair pensa ancora di non poter destare sospetti. Pensa, quindi, di mostrarsi collaborativo. “Così non beccheranno”, avrà pensato, eppure i suoi calcoli non tengono conto di alcune variabili: pensa di poter affermare che 3+3 possa fare 7 e che nessuno se ne accorgerà, ma non era così.
Gli inquirenti nel frattempo vedono con i loro occhi, sotto suo suggerimento, quali erano i sentieri che i genitori erano soliti percorrere. Proprio lui, chiaramente per depistarlo, li conduce sul Corno del Renon e accetta di far entrare i cani molecolari nella loro abitazione. “L’ho scampata”, avrà pensato. Eppure c’è sempre qualche tassello fuori posto e il puzzle continua a sembrare alle forze dell’ordine incompleto.
Mentre le ricerche proseguono incontrastate, infatti, Benno pensa di far lavare l’auto di famiglia. Ci sono delle tracce di cui sbarazzarsi al suo interno? Forse sì, ma quello che c’è sicuramente una tanica di acqua ossigenata nel portabagagli. Non a caso, contemporaneamente gli inquirenti trovano una macchia di colore giallastro sul lato nord del ponte di Ischia Frizzi. Non c’è tempo da perdere quindi. Bisogna capire se può esserci un nesso con Benno e la sua tanica. Da lì, un’intuizione: perché non controllare semplicemente la localizzazione del suo telefono? Siano lodati i cellulari e chi li ha inventati, perché grazie a loro i carabinieri scoprono che sì, il giovane era in quella zona la sera del 4 gennaio.
Le settimane passano, arriviamo al 18 gennaio. Sono trascorsi esattamente 14 giorni e dei genitori di Benno nessuna traccia. Ormai tutte le piste portano solo a un nome, il suo. E così gli inquirenti decidono iscriverlo nel registro degli indagati con una duplice accusa: omicidio plurimo e occultamento di cadavere. La casa dei coniugi a quel punto viene messa sotto sequestro e i RIS di Parma possono entrare liberamente al suo interno per fare le dovute analisi. Neumair, però, non ci sta, ha paura, sa che all’interno dell’abitazione in cui è tornato a vivere qualche mese prima ci potrebbe essere qualche traccia lasciata magari anche solo per distrazione. Il 19 gennaio, così, tenta di forzare i sigilli per entrare in casa. I vicini, però, lo scoprono e prontamente allertano i carabinieri, che arrivano nell’arco di pochi minuti. Benno scappa giusto in tempo, ma ormai si è praticamente dato la zappa sui piedi da solo. Che interesse avrebbe avuto un innocente a entrare in una casa posta sotto sequestro?
Trascorrono altri dieci giorni (quasi). Arriviamo alla notte del 28 gennaio. Da poco è passata la mezzanotte e in caserma c’è silenzio, quello che cala puntualmente ogni giorno insieme al buio. Ormai è terminato il via vai di gente, nessuno entra ed esce. Ci sono solo gli agenti in servizio, tutti seduti dietro le loro scrivanie. Entra Benno, conscio di essere ormai stato scoperto: non ci sono più vie di fuga per lui. E così arriva, si costituisce, ma attenzione: non lo fa per scelta libera, lo fa perché non poteva fare altrimenti. Ma questo all’epoca – parliamo appunto di due anni fa, quando ancora non era stata ricostruita la sua storia – nessuno poteva saperlo. Anzi, qualcuno poteva averlo intuito, ma nessuno ne aveva la certezza assoluta.
Gli indizi di colpevolezza ci sono, sono palesi, sono gravi e così, un paio di giorni dopo, il gip dispone la convalida del fermo. Solo il 6 febbraio, però, sarà ritrovato il corpo della madre, mentre per riuscire a rinvenire quello dal padre si dovrà attendere il 27 aprile.
Ma cos’era accaduto esattamente quel giorno? Tutto era partito, a quanto pare, da un litigio tra padre e figlio. Il primo avrebbe voluto che il secondo fosse più collaborativo in casa, che portasse più spesso il cane fuori, che partecipasse di più alle faccende domestiche. Il litigio era divenuto acceso, ma Benno aveva deciso di rifugiarsi nella sua camera da letto e lì si era addormentato. Stando al suo racconto, però, il padre era entrato nella sua stanza, ancora palesemente furioso, e aveva continuato ad accusarlo. La discussione era divenuta sempre più violenta e si era spostata poi sui soldi: Peter accusava il figlio di non essere in grado di mantenersi da solo, gli aveva chiesto di prendere in affitto l’appartamento sotto il loro, pagando così 700 euro al mese. Ad un tratto, il gesto estremo: Benno ha preso una corda e lo ha strozzato. Ad oggi non ricorda esattamente neanche come, ma sa di averlo fatto.
La madre entrerà solo dopo: la sua “colpa” sarà solo quella di essere rincasata nel momento sbagliato, poco dopo l’omicidio del marito cioè. Il figlio, sentendo la chiave nel chiavistello, stando sempre alla sua confessione, le andò incontro, non la salutò neanche e le riservò lo stesso destino del marito. Probabilmente lei non avrà avuto neanche il tempo di realizzare quello che stava accadendo in quel momento. Una magra consolazione per la figlia, che ha dovuto e deve sopportare l’idea che il fratello abbia ammazzato i loro genitori e che la loro famiglia sia ormai irrimediabilmente distrutta? Forse no.
In ogni caso, fin da subito Benno ha dimostrato di essere un soggetto egoriferito, freddo, senza scrupoli. Era legato più all’apparenza che alla sostanza, era narcisista ed era affetto dal disturbo antisociale di personalità. Lo capirono immediatamente i periti nominati dal giudice per le indagini preliminari, che inizialmente lo riconobbero seminfermo di mente in relazione all’omicidio del padre, ma perfettamente capace di intendere e di volere in relazione a quello della madre. Per quanto riguarda quest’ultimo, i periti del GIP hanno parlato di premeditazione: Benno ha avuto il tempo di ragionare, riflettere, capire che doveva eliminare l’unica prova vivente contro di lui, sua madre Laura, che avrebbe altrimenti di certo visto il corpo del marito e ricollegato i pezzi.
Una domanda sarà sorta spontanea a molti: ma i disturbi di personalità sono intermittenti, cioè possono andare e venire a loro piacimento? Perché, se così non fosse, non si spiegherebbe come lo stesso individuo possa essere cosciente e semi-incosciente a distanza di pochi minuti. La realtà, a quanto pare, è questa: semplicemente si era pensato inizialmente che Benno avesse agito con il padre seguendo un istinto dettato al 100% dalla patologia di cui era affetto e invece con la madre in un momento in cui stava percependo il disturbo in misura minore.
In effetti, però, a posteriori non regge neanche questa ipotesi, soprattutto alla luce della lucidità con cui poi ha depistato tutti, insabbiando le prove, dichiarandosi preoccupato per la sparizione dei genitori neanche 24 ore dopo averli uccisi, mandando messaggi normalissimi alla sorella solo pochi minuti dopo la loro morte (sì, ha iniziato a parlare con lei come se nulla fosse accaduto, dicendole anche di non sapere assolutamente nulla della loro scomparsa).
Arriviamo a quest’anno: solo pochi giorni fa la Corte d’Assise si è espressa. Benno era perfettamente capace di intendere e di volere quando ha ucciso entrambi i genitori. Gli esiti della prima perizia non sono da tenere in considerazione, perché il 31enne sapeva perfettamente cosa stava facendo. In entrambi i casi. Neumair è quindi condannato all’ergastolo, anche alla luce del fatto che la sua confessione è sopraggiunta quando il quadro probatorio a suo carico era ormai delineato, come abbiamo anticipato. Ma cosa sappiamo oggi della sua personalità? Cerchiamo di capirci di più.
Benno Neumair era una persona disturbata, certo, e lo era letteralmente. Era affetto dal disturbo narcistico e dal disturbo antisociale di personalità. Cosa significa? Che era un manipolatore perverso, con un’esagerata considerazione del proprio valore e il desiderio eccessivo di vedere i suoi desideri soddisfatti in pochissimo tempo (forse il suo in quel momento era di non sentirsi subissare dai genitori?). Purtroppo i punti in comune tra queste due psicopatologie è proprio uno: la violenza.
Purtroppo il caso di narcisismo – parliamo del cosiddetto narcisismo maligno per essere precisi – è quello di cui sono affetti anche gli uomini protagonisti di casi di femminicidio e sono tutti caratterizzati da scarsa empatia, manipolazione e godimento della sofferenza altrui. Inoltre tutti loro non tollerano chiunque non la pensi come loro.
Il disordine da personalità antisociale poi porta l’individuo a provare un disprezzo patologico per le leggi e le regole della società e del mondo circostante e inoltre lo rende totalmente incapace di provare sentimenti come sensi di colpa e rimorsi.
Probabilmente tutto questo mix ha condotto Benno a non sopportare l’idea che il padre potesse non avere un’ottima considerazione di lui e a non provare alcun pentimento per le azioni commesse. In sostanza, per lui i genitori rappresentavano degli ostacoli rispetto alle modalità con le quali aveva scelto di realizzarsi nella vita. Ostacoli che andavano rimossi senza alcuna remora.
Quello che si evince dal processo, infatti, e che quindi ha portato la Corte d’Assise a dichiarare che Benno fosse perfettamente capace di intendere e di volere, è la consapevolezza che il duplice omicidio sia stato la conclusione di un progetto ben calcolato nei minimi dettagli.
L’uomo è stato capace di scrivere alla sorella, poche ore dopo, che non sapeva che fine avessero fatto i genitori. Non si è pentito di quello che ha fatto, non ha mai chiesto scusa a nessuno, ha sempre cercato giustificazioni al suo comportamento. Era probabilmente convinto di avere il diritto di fare quello che ha fatto.
Del resto, Benno, come abbiamo anticipato, aveva sempre chiaramente mostrato di essere un individuo egoriferito, legato all’apparenza e non alla sostanza, arido di sentimenti. Ha avuto la “capacità” di mantenere la sua lucidità intatta anche dopo aver ammazzato i genitori, non sembrava scosso, non mostrava segni di tentennamento. Se le prove non lo avessero incastrato, chissà se e quando avrebbe confessato.
Ma la sua vita è sempre stata vissuta al limite. Pubblicava video su YouTube in cui si iniettava nel braccio gli steroidi – pratica illegale – e sorrideva mentre chiedeva i suoi follower a non parlare. Come se poi farlo pubblicamente non fosse già un autodenuncia. Probabilmente anche quelli erano tutti tentativi di rompere gli schemi, non sottostare alle regole, affermare il suo io, talmente gonfio da essere per lui l’unica cosa che contava. Del resto, a quanto pare, lo stesso io era del tutto incapace di provare sentimenti sinceri, forti, veri.
Inoltre il suo atteggiamento è stato sempre manipolatorio. Ha tentato di manipolare gli inquirenti, cercando di discolparsi in tutti i modi, addirittura segnalando i percorsi standard dei genitori, conducendoli in prossimità del Corno del Renon. Ha tentato anche di manipolare Martina e Jasmine, le due donne che in quel periodo gravitavano intorno a lui, che aveva cercato di “usare” per crearsi un alibi realistico. La prima era una sua amica e proprio da lei Benno andò a dormire la notte della scomparsa e a lei chiese di lavare i suoi vestiti. La seconda era una maestra conosciuta su Tinder, con cui era uscito qualche volte in quel periodo e a cui aveva chiesto di aiutarlo a pulire casa sua. Entrambe avevano rischiato di finire coinvolte nell’inchiesta, salvo poi essere ritenute innocenti ed estranee ai fatti.
Solo alla notizia del ritrovamento del cadavere della madre, più di un mese dopo il duplice omicidio, aveva tentato di inscenare un crollo emotivo, nella speranza che quello lo avrebbe in qualche modo discolpato, oppure quantomeno che sarebbe stata per lui una sorta di attenuante.
Ma, scavando a fondo nel suo passato, troviamo tracce di pericolosità ben prima dei fatti di quel 4 gennaio di due anni fa. Quando viveva in Germania si era inventato di sana pianta un’aggressione per fare breccia sulla fidanzata, arrivando addirittura a tagliarsi per usare il suo sangue per sporcarsi il volto e a rubarle la carta di credito per rendere più credibile la sua versione dei fatti, mostrando quindi una forte propensione a mentire e a essere disposto letteralmente a tutto pur di riuscire a ottenere i suoi scopi.
Come abbiamo anticipato, anche la madre aveva paura di lui. Lo aveva confidato a un’amica, ma anche alla figlia Madé, a cui aveva intimato di non litigare con il fratello quando erano soli in casa. E, a quanto pare, anche il padre si era accorto che il figlio aveva dei comportamenti “strani”, per così dire. Sembra, infatti, che i due avessero confidato a parenti e amici di chiudersi in camera la notte.
Questo è il quadro emerso delle psiche di Benno Neumair. Il quadro di un uomo di appena 31 anni con una mente pronta a tutto pur di farlo emergere.
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