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Categories: Cronaca

Beppe Severgnini, le donne del Sud e gli stereotipi duri a morire (anche al Nord)

Tante ragazze del Sud. Non in cucina o in lavanderia“. Così il noto giornalista del Corriere della Sera Beppe Severgnini descrive la sua sorpresa di fronte alla nutrita presenza femminile a bordo della portaerei Cavour. La nave italiana è impegnata nelle continue e massacranti operazioni di salvataggio dei migranti e, sorpresa sorpresa, a far bene il proprio lavoro ci sono anche delle giovani donne che non sono relegate al ruolo di colf e cuoche (come se poi fossero lavori di secondo piano). L’articolo è il racconto di quegli italiani che ogni giorno salvano vite umane, di quei militari che “non saranno guerrieri feroci ma quando c’è da combinare disciplina e prontezza, sono tra i migliori“. Tra loro anche le donne, per di più del Sud, razza forse sconosciuta dalle parti del giornalista, se la sua sorpresa è tale da diventare “la” notizia. Così, via Twitter divampa la polemica: possibile mai che nel 2016, sulle colonne di uno dei principali quotidiani nazionali, le donne meridionali siano ancora incatenate agli stereotipi del secolo scorso?

Cosa ha detto di così grave il nostro per scatenare le ire funeste di colleghe/i e di semplici utenti? “Tante ragazze del sud, nella fortezza Bastiani galleggiante. Le trovo dovunque. Tra gli ufficiali e in infermeria, nell’hangar e in plancia. Non in cucina e in lavanderia, a meno che non si siano nascoste al mio arrivo“. Se sei donna e per di più del Sud, il tuo ruolo è relegato agli ambienti di casa, la cucina e la zona lavanderia: non sia mai che tu possa essere di più che una cuoca e una addetta alle pulizie. La battuta sulle “donne nascoste”, se voleva stemperare un po’ la tensione, diciamo che ha fallito.

Si inizia con “Martina Muto, comune di 2° classe, 19 anni, di Pompei, addetta alle operazioni dell’hangar della portaerei […] Quando, durante un’esercitazione di salvataggio, c’era bisogno di un uomo in mare, s’è buttata lei, una donna“. Non sia mai che una donna possa essere anche un’eroina di quelle vere, da film, e che soprattutto faccia bene il suo dovere, rispondendo al primo comandamento di chi naviga: si salva sempre chi è in mare. Sempre.

Si prosegue. “Anna Tradigo, comune di 1° classe, 21 anni, tarantina […] Voglio diventare tecnica dei Ris dei Carabinieri», dice seria“. Davvero se lo dice una donna non va presa sul serio? Nel 2016? È uno scherzo, vero? Perché scrivere fior fiore di articoloni su quanto poco siano rappresentate le donne nel settore della scienza se poi si continua a parlare per stereotipi? Per di più, scrive il giornalista, “[…] L’hanno messa a tavola con l’ospite, l’ammiraglio e il comandante, ma non sembra per nulla intimorita“. Guarda, una giovane che non ha paura di mostrarsi orgogliosa del suo lavoro, della sua vita, della sua indipendenza: che novità.

Ecco contro cosa se l’è presa il web (e un po’ anche chi scrive, da donna di origini del Sud che vive e ama il Nord): una serie di stereotipi che neanche fossimo negli anni Cinquanta.

L’intento, siamo sicure, era di parlar bene degli uomini e delle donne che ci rendono ogni giorno orgogliosi. La forma non è stata la migliore. È quello stupore quasi un po’ bonario che spaventa. Come se davvero fosse una cosa fuori dal normale per una donna essere un tecnico, un tenente, un medico, una scienziata e molto altro. Come se il Sud non fosse diverso da quello romanzato del secolo scorso, con donne velate impegnate solo a sfamare e curare la numerosa prole.

Il fatto che lo scriva un noto giornalista sulle pagine di uno dei più importanti quotidiani italiani, ci dice quanto sia ancora lunga la strada da fare per una vera parità di genere.

Certo abbiamo fatto un salto enorme rispetto ai tempi in cui le donne non potevano salire sulle navi da lavoro perché portavano sfortuna. Da qui a dire che siamo persone davvero moderne ce ne corre.

Lorena Cacace

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