Il Milan dice addio a Silvio Berlusconi, il presidente più vincente della sua storia: un’avventura lunga trent’anni, piena di successi.
Se n’è andato a 86 anni Silvio Berlusconi. La notizia, stamattina, ha scosso l’opinione pubblica non solo italiana ma di tutto il mondo. E con grande commozione, anche il mondo del calcio ha salutato il cavaliere, storico presidente del Milan: 31 anni di successi e innovazioni e uno stile unico.
Dopo gli omaggi e i saluti arrivati da tutto il mondo, per la scomparsa di Silvio Berlusconi nella giornata di oggi, anche il calcio si è fermato a ricordare l’ex presidente del Milan. Del resto, quello tra Berlusconi e questo sport è stato un legame travolgente.
Se è vero che esiste un’Italia prima e un’Italia dopo Berlusconi, esiste anche un Milan prima e un Milan dopo la sua presidenza. Il mondo del calcio deve tanto alla figura dell’ex primo ministro, dalla recente presidenza del Monza fino a quella storica, durata 31 anni, del Milan.
Il rapporto tra il Milan e Berlusconi è stato indubbiamente qualcosa di inusuale e irripetibile, soave e quasi utopico. Vero amore. A partire dai successi internazionali, dalla clamorosa rivalsa di un club devastato dalla serie B e colmo di nostalgia per i vecchi successi, alla creazione di un “modello Milan”, bello e vincente.
“Per Berlusconi bisognava essere belli e bisogna avere il sole in tasca” ha detto oggi il direttore di Milan Tv Mauro Suma nel ricordare Silvio Berlusconi. E su questo mantra, su questi aggettivi, il cavaliere aveva voluto costruire il suo Milan. Lo ha fatto con le campagne acquisti e con un modo di fare mercato in maniera visionaria. Cercando di costruire un dream team, in grado innanzitutto di primeggiare in Europa – cosa che oggi pare quasi scontata – oppure andando a scovare il miglior talento di un altro campionato, per dare un impronta “internazionale” alla squadra. Ma oltre alla forza economica, l’eredità data dal presidente che i tifosi del diavolo ricordano sempre con immenso orgoglio, è stata il suo diktat comportamentale, di stile. Un Milan che si comporti bene con l’arbitro e che rispetti gli avversari, una squadra che vinca e che faccia del “bel giuoco” il suo marchio distintivo.
“Ai tifosi del Milan ho una sola cosa da dire, di resistere. Stiamo costruendo insieme una squadra che deve durare nel tempo. Mi piacerebbe che non ci fossero fischi all’indirizzo della squadra avversaria quando vengono lette le formazioni, mi auguro che San Siro torni a essere uno stadio in cui dominino la classe, la signorilità e lo stile e che la squadra avversaria si cerchi di batterla, ma nel rispetto delle regole” (Berlusconi al primo anno di presidenza, estate 1986).
Dall’atterraggio in elicottero a Milanello, dal salvataggio del Milan sull’orlo del fallimento nel 1986, fino al primo scudetto del 1988 e alla prima Champions League vinta a Barcellona nel 1989 quando il presidente venne lanciato in aria e celebrato in campo con la coppa in mano dai calciatori. Fino alla supercoppa di Doha (ultimo trofeo della sua era) il Milan è riuscito nell’intento del cavaliere. Non era facile accontentarlo, soprattutto per quel modo schietto e quasi imbarazzante che a volte poteva tramutarsi in ossessione, di intervenire anche nelle scelte tecniche degli allenatori. Magari a margine di una sconfitta.
Ma la sua proverbiale insofferenza per alcune scelte di formazione non gli ha mai impedito di stringere straordinari legami con i tecnici rossoneri e con i calciatori, dei quali si è sempre vantato – a suo modo – di aver rappresentato un punto di riferimento, un ruolo paterno. A partire da Arrigo Sacchi, fino a Fabio Capello e Carlo Ancelotti, per citare i tre che più di tutti hanno contribuito a cambiare la storia del club rossonero.
Sono 29 i trofei, tra cui le 5 indimenticabili Coppe dei Campioni/Champions League, gli 8 scudetti e i 3 mondiali, che avevano reso il Milan nel 2008 il club più titolato al mondo.
“Il presidente non ci ha mai chiesto di vincere. Lui pretende una cosa sola: lo spettacolo e il bel gioco”. Così Adriano Galliani aveva descritto la filosofia di Berlusconi, l’abito che il presidente voleva per il suo Milan era uno di quelli eleganti. Uno smoking, cucito dalle giocate dei tanti palloni d’oro che hanno varcato l’ingresso di San Siro, e dalle innumerevoli e irripetibili vittorie ormai scolpite nella pietra.
Di quella mentalità ne giovarono il movimento italiano e i tifosi del Milan, che videro la propria squadra rinascere dalle ceneri e arrivare più volte sul tetto del mondo. Il Milan di Berlusconi, per appeal, trofei alzati al cielo, è stata una delle società più affascinanti della recente storia del calcio. Fu capace di emozionare, fare soffrire e commuovere; quel Milan sapeva vincere dominando o perdere andando in contro a clamorose debacle. Non aveva mezze misure. Come del resto senza mezze misure, è stato anche Silvio Berlusconi.
Ma la storia di Berlusconi è legata, nel calcio, anche a Monza. Un legame anch’esso speciale, dimostrato con l’acquisto del club nel 2018, sempre con al suo fianco Adriano Galliani e il fratello Paolo. Il ritorno nel calcio con una squadra che all’epoca militava in Serie C, riportata in Serie A dopo una lunga striscia di successi. Investimenti, visione, anche in questo caso soddisfazioni e tanta ambizione – e la promessa di portare la squadra in Champions League e a lottare per lo Scudetto.
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